Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, cerca di guadagnare tempo per cercare di mettere insieme una nuova maggioranza di governo, sempre tenuta in piedi da Draghi.
Il Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, ha comunicato questo pomeriggio ai suoi ministri che si dimetterà dall’incarico che aveva accettato 17 mesi fa. Dopo una lunga settimana di tensioni con il Movimento 5 Stelle (M5S) e un voto di fiducia al Senato, in cui i grillino sono stati assenti nonostante gli avvertimenti di Draghi, l’ex presidente della Banca Centrale Europea ha detto basta.
Il Presidente del Consiglio ha poi incontrato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per informarlo della decisione. Ma il capo dello Stato ha rifiutato di accettare le dimissioni e ha convocato il presidente del Consiglio a comparire davanti alle camere mercoledì prossimo. L’obiettivo del presidente è evitare una grave crisi politica in Italia. Gli scenari ora sono molto vari.
Potrebbe anche succedere che Mattarella convinca Draghi per un secondo mandato con una maggioranza diversa: il M5S potrebbe essere escluso dall’Esecutivo. Ma l’Italia torna ad entrare in uno scenario di instabilità in un momento molto delicato per il Paese e per l’Europa.
Dopo la bocciatura di Mattarella, le dimissioni di Draghi sono congelate almeno fino a mercoledì prossimo, quando il presidente del Consiglio dovrà recarsi in Parlamento per spiegare la sua intenzione di lasciare l’incarico. In quei giorni, il capo dello Stato cercherà di promuovere una formula di governo alternativa – guidata da Draghi – che eviti di indire elezioni.
Il M5S ha eseguito la sua minaccia in mattinata a Palazzo Madama, sede del Senato italiano, intorno alle 14. I grillini, come aveva annunciato la sera prima il loro leader, Giuseppe Conte, non hanno partecipato alla votazione su un importante decreto di aiuti ai cittadini che prevedeva una mozione di fiducia all’Esecutivo Unitario. La colluttazione su varie questioni – la guerra in Ucraina, le misure contro l’inflazione, il reddito di cittadinanza – scaldava gli animi da giorni.
Ma il gesto politico del Senato, che Draghi ha preso molto sul serio, ora sfocia in una violenza inconciliabile e pone il M5S fuori dall’Esecutivo. Un atto di enorme irresponsabilità, vista la situazione del Paese e le ragioni addotte della rottura, che lascia poco spazio per evitare elezioni anticipate in autunno. Il governo ha ancora i numeri per andare avanti. Non è una questione aritmetica, quindi, sottolineano fonti dell’Esecutivo.
Draghi ha comunicato questo pomeriggio ai suoi ministri la decisione. “Il voto di oggi in Parlamento è un evento molto significativo dal punto di vista politico. La maggioranza dell’unità nazionale che ha sostenuto questo governo sin dalla sua creazione non esiste più. In questi giorni, da parte mia, c’è stato il massimo impegno per continuare il cammino comune, cercando anche di trovare accordi per le richieste che le forze politiche mi hanno fatto.
Ma questo sforzo non è bastato”, ha sottolineato in Consiglio dei ministri, come ha spiegato a Palazzo Chigi (sede del governo). “Ho sempre detto che questo Esecutivo sarebbe rimasto in piedi solo se fosse stato chiaro che avrebbe potuto realizzare il programma di governo che era stato votato nella mozione di fiducia iniziale. Quelle condizioni oggi non esistono”, ha insistito.
L’ex presidente della Banca centrale europea aveva avvertito nel corso dell’ultimo mese che un governo senza il M5S avrebbe cessato di avere senso e che non sarebbe stato disposto a continuare a guidare un altro Esecutivo in cui i Grilino fossero assenti. Nessuno ora nasconde che Draghi è stato troppo rigido nella sua minaccia e ha dimenticato che la politica italiana richiede un’estrema flessibilità per non esplodere a ogni giro del copione.
Ma è vero che nessuno sembrava ascoltarlo fino ad ora. Spaventata dalla minaccia di elezioni ormai convenienti per pochi partiti (in particolare il M5S), la formazione antisistema ha lasciato la porta aperta per un dialogo dopo la sessione parlamentare di questo giovedì che potrebbe ricostruire l’unità. Un suo ministro, Federico D’Incà, propose addirittura di slegare in extremis il voto del decreto di fiducia per evitare la catastrofe. Ma era già tardi. E lo stesso Draghi lo rifiutò.
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