In occasione del 31esimo anniversario della strage di Capaci, il presidente Mattarella ha ribadito la volontà di combattere la mafia.
Lui che ha vissuto in prima persona le azioni della criminalità organizzata, quando nel 1980 fi vittima indiretta dell’attentato al fratello Piersanti, si è sempre fatto portavoce di questo tema e oggi più che mai ha voluto ribadire che la mafia non è invincibile e lo ha fatto in un discorso molto importante. Ha reso omaggio non solo ai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ma anche a tutte le vittime di mafia, in primis Francesca Morvillo e gli uomini della scorta che quel 23 maggio passato ormai alla storia, sono morti perché credevano in una grande causa.
Mattarella sulla strage di Capaci
Oggi ricorrono 31 anni dalla strage di Capaci, l’attentato dinamitardo in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo. Con loro c’erano anche gli uomini della corta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Poco dopo ci fu la seconda strage in cui morì colui che in quegli anni si stava battendo a fianco di Falcone per dire no alle mafie, Paolo Borsellino. Anche in questo secondo episodio morirono gli agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina.
Una lista di nomi che è sol una piccola parte di coloro che sono stati vittime della criminalità organizzata, una piaga della società che oggi il presidente Sergio Mattarella, in occasione del 31esimo anniversario della strage, ha voluto condannare nuovamente definendola un cancro che però non è imbattibile.
Possiamo considerare lui stesso una vittima di mafia, sebbene in modo indiretto. Suo fratello Piersanti infatti venne ucciso da Cosa Nostra nel 1980, durante il suo mandato come Presidente della Regione Sicilia.
“il 23 maggio la mafia sferrò un attacco atroce contro lo stato democratico. una strage che proseguì con l’attentato a borsellino e che ancora continua a infettare il tessuto della nostra società. a questi testimoni della legalità della repubblica e al dolore delle loro famiglie sono rivolti i pensieri di oggi”
così il Capo dello Stato ha voluto omaggiare coloro che sempre si sono battuti per la legalità pur sapendo che sarebbero andati incontro a morte certa. Mattarella ha anche espresso riconoscenza per il lavoro svolto e ha voluto dare un messaggio positivo accanto al dolore per questi fatti che ormai fanno parte della storia criminale italiana. Ha infatti detto che liberarsi da questo cancro non è impossibile ma c’è bisogno della collaborazione di tutta la comunità.
“i criminali mafiosi pensavano di piegare le istituzioni. molti si sono sacrificati ma questo ha portato a un forte senso di cittadinanza. nelle istituzioni, nelle scuole e nella società civile, la lotta a ogni forma di criminalità è diventata condizione di civiltà e parte irrinunciabile di un’etica condivisa”.
Allora, la Repubblica seppe reagire a tutto questo male e anche oggi cerca di farlo nel migliore dei modi, ma per costruire un fronte unito contro la mafia è importante la memoria, così come lo è per ogni evento tragico del passato.
Non aveva nemmeno 40 anni quando suo fratello maggiore Piersanti fu assassinato da Cosa Nostra, poco dopo l’omicidio di Peppino Impastato commissionato da Badalamenti.
Proprio questo episodio portò l’allora presidente di regione, Piersanti, a un duro discorso contro la mafia, che stupì anche i suoi stessi sostenitori e quelli di Impastato, che era candidato sindaco a Cinisi. Molti lo seguivano, anche se con molta paura ma quando qualcuno la esprimeva lui non si tirava mai indietro, dicendo che avrebbe accettato di morire per portare avanti questa causa di giustizia.
Purtroppo fu proprio quello che avvenne, infatti il 6 gennaio del 1980 un sicario si avvicinò alla sua auto e lo uccise a colpi di rivoltella. Venne poi confermato il legame di questo attentato con Cosa Nostra, la stessa che organizzò quello di Falcone.
La strage di Capaci vista dal giornalista Francesco Nuccio
Era un personaggio scomodo Giovanni Falcone per la mafia degli anni Novanta, periodo di grande potenza per la criminalità organizzata. In una Palermo afosa del maggio del 1992, avvenne la strage che rimarrà impressa nella storia e servirà da monito per ricordare la crudeltà della mafia, che mette a tacere con metodi crudeli coloro che non si possono comprare in nessun modo.
Il senso di giustizia e libertà era forte in Giovanni Falcone, che insieme al collega Paolo Borsellino stava conducendo indagini importanti per smantellare la più grande organizzazione criminale italiana. Venne brutalmente ucciso a Capaci e il comunicato venne dato dalla polizia e poi raccolto dai giornalisti, fra questi c’era Francesco Nuccio.
Lo scorso anno, in occasione del trentennale dell’attentato ha voluto ricordare la cronaca di quel terribile giorno e oggi la riproponiamo.
“la notizia che cambiò la storia dell’italia arrivà alle 17.58, pensavamo a un’esplosione in un cementificio”
così inizia il racconto dell’uomo che all’epoca lavorava per Ansa. Ricorda lo sconcerto che ha provato quando le frequenze della polizia riferirono quello che era accaduto sull’autostrada A29, nel tratto appena prima dello svincolo per Capaci.
L’episodio rimarrà indelebile nella mente di tutti e ancora oggi tutti ricordano cosa stavano facendo in quel preciso momento perché quando si verificano eventi del genere è impossibile non ricordare e come ha detto Mattarella, la memoria è importante per cambiare le cose.
Anche Nuccio ricorda cosa stava facendo, si trovava in redazione insieme a un collega ed era una giornata tranquilla perché non c’erano particolari notizie riguardanti Palermo, queste erano l’anniversario della prima seduta dell’Assemblea Regionale Siciliana e l’assalto di una banda di rapinatori in una casa. C’erano poi alcune notizie in arrivo dalla Capitale, come le trattative politiche fra i partiti per l’elezione del Capo dello Stato.
Notizie di routine, così le ha definite il giornalista, fino a quando arrivò la notizia che avrebbe cambiato la giornata ma anche la storia italiana. Alle 17.58, la radio collegata con le frequenze della polizia riferì di un’attentato dinamitardo nei pressi di Capaci.
Inizialmente si parlò di un’esplosione avvenuta forse nel cementificio di Isola delle Femmine, invece pian piano si delinea una situazione ben diversa. Si parla di attentato, ci sono morti e il tratto stradale dove è avvenuto il tutto è un disastro, completamente irriconoscibile.
“a un certo punto la questura parla di una perzonalità nota coinvolta ma non viene ancora pronunciato il nome di falcone. poco dopo però capiamo che si tratta di lui e mentre lo caricavano in ambulanza per trasportarlo in ospedale, io raggiungo il posto mentre il mio collega rimane in redazione per scrivere le prime notizie”.
Il giornalista non riesca ad accedere perché l’ingresso in autostrada è chiuso al traffico per consentire ai mezzi di soccorso e alle volanti delle forze dell’ordine di passare. Non si scoraggia e cerca di raggiungere Capaci dalla statale, nel frattempo fa salire sulla sua moto anche il fotografo Franco Lannino, bloccato in auto come gli altri giornalisti.
I due riescono a raggiungere la zona dell’agguato, o meglio un terrapieno che affaccia proprio in quel punto facendo apparire ai loro occhi lo scenario più catastrofico che avessero mai potuto immaginare.
L’odore dell’esplosivo era acre, un tratto di autostrada non c’era più perché era stato spazzato via da circa 500 chili di tritolo piazzati in un cunicolo. Si era aperta una voragine di decine di metri e ai bordi c’erano gli investigatori che si muovevano frenetici. Lannino cominciò a scattare le prime immagini che vennero poi trasmesse su tutti i circuiti internazionali.
Era stato scelto quel punto perché lì doveva passare un corteo blindato guidato appunto da Falcone. La Fiat Croma dove si trovava con sua moglie e tre agenti venne investita in pieno dall’onda d’urto e scaraventata a un centinaio di metri di distanza. I Vigili del Fuoco lavorano per estrarre i corpi ancora intrappolati fra le lamiere della vettura che è rimasta in bilico sul cratere che si è formato.
Il magistrato e sua moglie, trasportati in ospedale, moriranno poco dopo. Nessuno ha la forza di dire una parola, urlano di rabbia invece i colleghi degli agenti rimasti coinvolti.
“un panorama di morte e devastazione con frammenti di asfalto ovunque nel raggio di 500 metri. il boato è stato sentito a chilometri di distanza e l’esplosione ha tranciato le linee telefoniche, infatti non ho potuto riferire nulla al mio collega. tornato in redazione comincio a scrivere il pezzo più drammatico della mia carriera”.
Come tanti altri, Francesco Nuccio era sul posto e come tutti non aveva parole per descrivere l’orrore che si era rivelato ai suoi occhi. Falcone lottava contro la mafia ed era un simbolo di speranza per tutti, in un periodo in cui gli attentati si moltiplicavano e tutti coloro che erano scomodi a Cosa Nostra venivano fatti fuori.
A lui dobbiamo strumenti importanti del nostro sistema giudiziario, come l’introduzione del 41 bis, ovvero il carcere duro pensato per eliminare i contatti dei mafiosi in carcere, con l’esterno. Ma Falcone, insieme a Borsellino, è molto di più di questo, è la forze di volontà che tutti dobbiamo trovare per combattere questo cancro della società.
Così lo ha definito oggi il presidente della Repubblica, così lo pensavano i giornalisti quel giorno e gli agenti che hanno perso i propri colleghi e le famiglie che hanno pianto i propri cari. Facciamo in modo che questo giorno commemorativo assuma un significato più profondo, perché “la mafia non è invincibile”.