Il boss Matteo Messina Denaro ha lasciato il carcere de l’Aquila per accertamenti al San Salvatore, precisamente una tac.
Per monitorare le condizioni di salute del detenuto, l’ospedale è stato blindato e una volta conclusi gli esami, l’ex super latitante tornerà nel regime del carcere duro dopo l’arresto del 16 gennaio che finalmente dopo 30 anni di ricerca lo ha consegnato alla giustizia.
Era il 16 gennaio quando Matteo Messina Denaro, considerato ultimo boss di Cosa Nostra, è stato arrestato nella clinica La Maddalena dove era in cura per il cancro al colon, malattia per cui sta seguendo la terapia in carcere.
Dopo gli iniziali dubbi si è deciso infatti che le sue condizioni erano compatibili con il carcere e in effetti, anche nella sua condizione di detenuto in isolamento visto il regime 41 bis, sta seguendo le cure chemioterapiche del caso.
Ieri però i medici hanno stabilito che c’è bisogno di alcuni accertamenti e così il trapanese è stato trasferito temporaneamente nell’ospedale San Salvatore a l’Aquila, struttura che per l’occasione è impenetrabile, infatti nessuno poteva entrare o uscire dal reparto. L’ospedale è stato blindato per ore fino al termine degli esami.
Il padrino di Castelvetrano è stato sottoposto a una serie di controlli di routine e anche a una tac, strumento non presente nell’infermeria del carcere, realizzata appositamente nel penitenziario in modo da rispondere alla esigenze dell’uomo per curare la sua patologia.
Piantonato a vista dai Carabinieri, dagli agenti del Gom e da quelli della polizia penitenziaria, l’uomo è stato sottoposto ad accertamenti nella struttura G8 del nosocomio, circoscritta da un nastro rosso lungo tutto il perimetro.
Erano le 18 quando il boss ha lasciato l’ospedale per rientrare nel carcere di massima sicurezza, un percorso di 7 chilometri che attraversa la frazione di Preturo, effettuato senza alcun problema né contrattempo.
Una breve uscita per Messina Denaro, l’unica concessa in questo periodo se togliamo i brevi momenti in cui gli viene concessa l’ora d’aria ridotta, dal momento che è sottoposto al carcere duro per evitare che abbia contatti all’esterno ma anche all’interno del carcere, al di fuori del personale della struttura e dei medici.
Continuano chiaramente le indagini sugli anni di latitanza perché un periodo di 30 anni necessita di analisi approfondite per ricostruire i movimenti dell’uomo, difeso dall’avvocato penalista Lorenza Guttadauro, che è anche sua nipote.
In presenza di quest’ultima è stato interrogato più volte ma le informazioni che ha rilasciato in queste settimane non sono molto precise, anzi abbastanza generiche e quindi non c’è la voglia di collaborare con la giustizia.
Tutti ricordiamo le immagini del boss che viene condotto fuori dalla clinica privata palermitana dove è stato tratto in arresto, senza opporre resistenza e in maniera pacifica, tuttavia dietro a quel giubbetto scamosciato si nasconde un efferato criminale che non ha avuto scrupoli e si è macchiato di moltissimi crimini.
Ad esempio, è il responsabile della morte di un bambino, figlio di un pentito, ucciso e sciolto nell’acido. Ancora, ha partecipato agli attentati dei magistrati Falcone e Borsellino e alle stragi in diverse città dei primi anni Novanta. Poi dal 1993 si sono perse le sue tracce dopo l’ultima vacanza insieme agli amici, caratterizzata dal lusso che contraddistingue questo boss diverso dagli stereotipi.
Gli ultimi aggiornamenti nell’ambito delle indagini ruotano intorno a un breve video di pochi secondi che smentisce le parole di Andrea Bonafede, impiegato comunale e cugino del geometra omonimo che ha fatto da prestanome e di cui Messina Denaro utilizzava l’identità da circa un anno.
Da qualche settimana il cugino del prestanome è in carcere per favoreggiamento e procurata inosservanza di pensa. I pm hanno depositato al Tribunale del Riesame di Palermo, dove Bonafede aveva fatto ricorso, un video che smentirebbe il fatto che questo non conosceva il boss.
Il filmato è quello ripreso da una telecamera di sorveglianza di Campobello di Mazara, luogo dove è stato scoperto il covo del latitante. Qui si vede che i due si incrociano per strada e si fermano per scambiare alcune parole.
È solo un piccolo tassello per comporre un puzzle ancora troppo intricato, fatto di fughe e tanti complici che hanno favorito la latitanza. Le indagini sono solo all’inizio ma più si va avanti e più gli inquirenti stanno scoprendo una fitta rete criminale in cui Messina Denaro poteva contare, tramite corruzione, di molti aiuti esterni.
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