Arrivano altre indiscrezioni clamorose sulla latitanza pluridecennale di Matteo Messina Denaro, arrestato a gennaio. Il boss avrebbe chiesto il segreto assoluto sul suo fascicolo medico.
Il boss di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, latitante da decenni, avrebbe chiesto e imposto che il suo fascicolo medico venisse secretato. È quanto trapelato in queste ultime ore dalle indagini che i Carabinieri stanno continuando a fare sul suo periodo di latitanza trentennale. Un modo per evitare il riconoscimento e la cattura da parte delle forze dell’ordine e che fa comprendere anche la rete di omertà e aiuto dato al mafioso in tutti quegli anni.
Quando il gennaio scorso il capomafia è stato arrestato, il nostro Paese ha festeggiato la sua cattura come una grande vittoria, giustamente, da parte delle forze dell’ordine nei confronti della criminalità organizzata. Matteo Messina Denaro da trent’anni si nascondeva dall’arresto, grazie anche a una rete di connivenza e omertà.
Il superboss è stato preso dai Carabinieri mentre si trovava in una clinica privata per sottoporsi a delle terapie, essendo ammalato di cancro al colon. Non appena ha capito che era finita, Messina Denaro si è addirittura congratulato con i militari. Nella clinica de La Maddalena era conosciuto da pazienti e medici come Andrea Bonafede.
“Un paziente di poche parole, sempre vestito in maniera elegante e dai modi molto gentili” hanno raccontato sbalorditi alcuni operatori sanitari del centro, ignari di aver curato e assistito una delle 10 persone più ricercate al mondo.
I militari dell’Arma sono arrivati a lui grazie a delle intercettazioni di alcuni suoi familiari. Da queste ultime hanno dedotto come il mafioso utilizzasse il nome di un nipote di un suo fedelissimo per sottoporsi alle cure di cui aveva bisogno.
Ora si scopre, inoltre, come il boss avesse ottenuto di avere il suo fascicolo medico secretato. Si tratta del dossier elettronico che il paziente può scegliere di non rendere noto ai sanitari. Firmando come Bonafede, il capomafia aveva negato il consenso, probabilmente consigliato da qualcuno del settore.
Il medico Alfonso Tumbarello, oggi indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e falso, ha sempre sostenuto la sua innocenza. Il professionista ha infatti raccontato alle forze dell’ordine di aver sempre creduto di curare il vero Andrea Bonafede, benché non lo vedesse mai in studio.
Una spiegazione poco convincente per gli inquirenti e smentita anche dal suo sostituto Gianfranco Stallone, il quale ha confermato come il fascicolo del paziente non fosse consultabile. Difficile, per non dire impossibile, quindi, che il collega non ne fosse a conoscenza o non lo ritenesse quantomeno bizzarro.
In questo modo, per Messina Denaro è stato più facile eludere i controlli, sfuggendo alle ricerche degli investigatori. Tra le persone che ora si trovano in carcere per averlo supportato nella sua latitanza, naturalmente, lo stesso Bonafede, accusato di associazione mafiosa. Il geometra non solo gli avrebbe prestato la sua identità, ma anche un bancomat e una macchina usata per spostarsi.
Le immagini del 16 gennaio scorso, giorno dell’arresto del boss, mostrano un uomo gracile, dai capelli incanutiti e corti, quasi invisibile nel montone largo. Chiamato fin da giovane U Siccu e Diabolik, il suo aspetto quasi innocuo non deve far cadere in errore.
Si tratta infatti di uno dei boss più crudeli e spietati che la mafia abbia mai avuto, soldato di Totò Riina e poi a sua volta ideatore di stragi e delitti. Nato in una famiglia legata a Cosa nostra, nel 1991 fa la sua prima vittima, Nicola Consales, dipendente di un hotel di Selinunte.
Nel 1992 è tra i membri del gruppo di fuoco mandati da Riina a Roma per eliminare Giovanni Falcone e il ministro Claudio Martelli e pedinare Maurizio Costanzo. Il progetto venne poi abbandonato dal boss, poiché intenzionato ad uccidere diversamente il giudice.
Messina Denaro fu inoltre tra i fautori degli attentati dinamitardi nella prima metà degli anni Novanta a Milano, Roma e Firenze, che si conclusero con la morte di 10 persone e 106 feriti.
Dall’estate del 1993 inizia poi la sua latitanza, che non gli impedisce nel novembre dello stesso anno di organizzare il sequestro di Giuseppe Di Matteo. Come è tristemente noto, dopo 779 giorni di prigionia, il ragazzino venne strangolato e sciolto nell’acido. Un omicidio atroce e per il quale si è sempre dichiarato estraneo, raccontando che a volerne la morte fu Giovanni Brusca.
A colpire i magistrati che per primi lo hanno interrogato, il suo tono pacato e disponibile, ben diverso da quello del suo “mentore” Totò Riina. Un comportamento che stride con le atrocità di cui si è macchiato.
Decisamente diverso anche il rapporto con la fede rispetto per esempio a Bernardo Provenzano: Messina Denaro è ateo. Inoltre, il boss non ha mai nascosto di amare il lusso e le donne.
Al polso Rolex e indosso vestiti costosi, oltre che viaggi all’estero e feste con gli amici, incurante di sprecare quel denaro costruito sul sangue. E poi le donne: amanti e dalle quali ha avuto figli fuori dal matrimonio, una vera rarità, per il contesto mafioso.
Boss atipico che ora dovrà dire addio a tutti i suoi beni di lusso, magari facendo luce, visto che a quanto pare la sua malattia ha poche speranze di cura, su tanti misteri italiani.
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