Dal carcere de l’Aquila dove è detenuto dal 16 gennaio, Matteo Messina Denaro ha risposto ad alcune domande degli inquirenti.
C’è stato un lungo interrogatorio durato un’ora ma il super boss non ha fornito dettagli rilevanti per l’inchiesta.
Dal 16 gennaio Matteo Messina Denaro è nel carcere de l’Aquila. Le immagini del suo arresto presso la clinica palermitana La Maddalena hanno fatto il giro del Paese.
Presso la struttura, dal quale è stato prelevato senza particolari agitazioni e si è consegnato senza opporre resistenza, è terminata una lunga latitanza durata ben 30 anni.
Era il 1993 quando il boss di Castelvetrano aveva fatto perdere le sue tracce e da quel momento se ne sono dette tante sul suo conto, tanti lo volevano fuori dalla Sicilia o addirittura con un volto cambiato per diversi interventi chirurgici.
E sebbene non corrispondesse a pieno all’identikit ricostruito dalle forze dell’ordine, il super criminale è stato rintracciato e questo è stato possibile grazie a un suo passo falso, ovvero l’assunzione della falsa identità di Andrea Bonafede, conosciuto a gennaio dell’anno scorso e incensurato, ottimo per seguire le cure di cui aveva bisogno per il cancro al colon.
Cure che comunque sta seguendo anche in carcere, tuttavia le condizioni sono state ritenute idonee con la reclusione, che sta seguendo piantonato giorno e notte per la paura che si suicidi.
Sebbene negli scorsi interrogatori Messina Denaro, assistito dalla legale e sua nipote, Lorenza Guttaduro, non abbia voluto parlare, ora sembra che sia propenso a rispondere ad alcune domande ma non ha dato finora un grande contribuito alle indagini.
Il boss ha parlato davanti ai magistrati nel primo vero faccia a faccia con i pm Maurizio Del Lucia e Paolo Guido, alla presenza del suo avvocato, tutti giunti nel carcere dove è detenuto in regime di 41 bis.
I magistrati sono arrivati alle 14.30 per andare via dopo 3 ore, ma gran parte di questo tempo è stato impiegato per preparare il confronto con il detenuto, le cui risposte non sono state significative nel quadro d’inchiesta.
Infatti il colloquio è finito in poco tempo e il verbale non è stato secretato, quindi non conterrebbe grandi colpi di scena. Non per questo c’è meno riserbo sulla questione.
L’odio giustificato di tante persone nei confronti di Matteo Messina Denaro ha fatto storcere il naso quando si è deciso di fornirgli le cure necessarie per il tumore che lo affligge, anche perché si pensava che questo lo avrebbe tenuto lontano dal carcere.
Invece il suo quadro clinico è stato ritenuto idoneo per la reclusione e così sta ricevendo la piena assistenza medica nel carcere di massima sicurezza aquilano.
Quello che si è tenuto oggi è il primo interrogatorio del boss trapanese dopo la lunga latitanza, tuttavia già aveva incontrato i magistrati per alcuni minuti dopo l’arresto e questi lo avevano rassicurato sul fatto che non sarebbe stato abbandonato nella sua malattia ma avrebbe ricevuto tutte le cure necessarie.
Poco prima del trasferimento nel carcere dove è ora, avrebbe dichiarato di non voler collaborare, aggiungendo che fino a poco fa era incensurato.
Messina Denaro è in isolamento totale e non ha contatti con nessuno, solo con i medici che lo stanno curando nel migliore dei modi, anche per consentire alla giustizia di fare il suo corso.
Il boss è apparso in buone condizioni di salute e viene seguito in un piccolo ambulatorio medico all’interno della struttura.
Nella casa del boss sono stati ritrovati oggetti inquietanti, vista la sua figura, come vari gadget del Padrino. In effetti molti lo chiamano in questo modo perché Messina Denaro discende da una famiglia di criminali e ha continuato tale attività alla guida di Cosa Nostra seguendo le orme di Provenzano e Riina.
Una latitanza così lunga però, di più di quella del padre che terminò dopo 8 anni a causa della morte, è possibile solo attraverso una buona rete di protezione. Questo uno degli aspetti trattati durante l’interrogatorio.
I magistrati cercano di approfondire il tema delle protezioni con attenzione ai complici che stanno saltando fuori giorno dopo giorno.
Ad esempio, uno dei ruoli da chiarire è quello del medico Alfonso Tumbarello, che lo ha curato con ben 137 prescrizioni verso Bonafede, suo prestanome. Affiliato a una loggia massonica di Campobello di Mazara, dalla quale è stato sospeso, il medico sostiene di non sapere che l’identità era falsa e chi aveva davanti era un criminale.
Altro focus dell’inchiesta è il covo che il geometra prestanome ha messo a disposizione del boss, dove sono state trovate tracce di vita clandestina ma vissuta non così tanto nell’ombra per essere il ricercato numero 1 d’Italia.
Indumenti femminili delle sue amanti, pizzini e documenti vari sono stati trovati nel covo, ma nulla che veramente possa definire con chiarezza una rete protettiva. Tuttavia tali elementi serviranno a delineare i contatti e gli scambi di Messina Denaro, che per ora ha la bocca abbastanza cucita su tutto ciò.
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