Il difficile equilibrio. Oggi l’Italia ha bisogno di nuovi medici. La carenza deriva dal fatto che i nuovi camici bianchi sono numericamente inferiori rispetto ai pensionamenti. In futuro però c’è il rischio surplus e disoccupazione, soprattutto se il numero chiuso a medicina venisse eliminato del tutto.
Più posti a medicina non risolvono un’esigenza immediata, dato che il percorso di studi dura dieci anni.
Oggi l’Italia ne ha un gran bisogno, eppure nel giro di 10-15 anni i nuovi medici rischiano di ritrovarsi senza lavoro in caso di un’abolizione totale del numero chiuso. Un paradosso che dovrà essere affrontato subito, perché la formazione universitaria è un percorso lungo che dura dieci anni. Solo a quel punto i dottori con specializzazione saranno pienamente arruolabili nel settore pubblico e nel privato.
Come ha sottolineato Il Sole 24 Ore, tra un decennio o poco più l’Italia rischia di ritrovarsi dall’estremo degli ultimi anni, in cui c’è stato un bisogno importante di camici bianchi soprattutto durante l’emergenza sanitaria, al contesto opposto, ossia di eccedenza rispetto al reale fabbisogno. Fino a 10mila medici ogni anno potrebbero in futuro ritrovarsi in esubero, rischiando addirittura di essere disoccupati.
Il nocciolo della questione risiede in gran parte nell’accesso contingentato alla professione. Proprio questa settimana, precisamente da giovedì, inizieranno i nuovi test d’ingresso “Tolc”, il viatico che si conclude con il giuramento d’Ippocrate e poi successivamente con l’avvio dell’esercizio della professione medica. Quest’anno circa 80mila aspiranti professionisti tenteranno i quiz per entrate a medicina. I posti disponibili sono poco meno di 15mila, esattamente 14.787.
La ministra dell’Università Anna Maria Bernini vuole aumentare del 30% i posti disponibili nei corsi di laurea, proprio per affrontare la carenza emersa palesemente in pandemia.
Eppure se si dovesse arrivare a eliminare del tutto il numero chiuso, ipotesi paventata dalla maggioranza, la conseguenza potrebbe anche essere quella della disoccupazione. Questo perché tra dieci anni, quando i professionisti saranno pronti per l’immissione nel mercato del lavoro, si verificherà in concomitanza anche una drastica diminuzione delle uscite dei medici per pensionamento. Tra il 2033 e il 2036 i camici bianchi del servizio sanitario arrivati a fine carriera scenderanno a circa 2mila unità l’anno, quindi molti meno rispetto ai numeri di chi si è formato e è pronto per entrare in servizio.
Negli ultimi anni, invece, si è verificato esattamente lo scenario opposto. C’è stato l’esodo sempre crescente dei medici di 65-67 anni e la carenza si è generata perché i nuovi non erano numericamente sufficienti per sostituire i colleghi andati in pensione. Il picco sarà raggiunto nel 2026, quando andranno in pensione 5mila medici. Quindi abolire adesso il numero chiuso a medicina non risolverebbe il fabbisogno di organico dei prossimi anni, perché chi inizia il percorso di studi oggi, lo terminerà solo tra 10 anni. La decisione, se mai, era da prendere prima.
Secondo uno studio di Anaao Assomed, il sindacato degli ospedalieri, nel 2030 ci saranno 32mila medici laureati in più rispetto ai pensionamenti. Secondo le stime, dal 2021 al 2030 circa 113mila medici andranno in pensione. Se a questo dato si sottraggono 145mila iscritti a medicina nello stesso periodo di riferimento, stima calcolata sul numero di posti fissati negli ultimi 3 anni senza prevedere aumenti, ecco che emerge il surplus.
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