Attorno alle presunte apparizioni della Madonna a Medjugorje ruota, da sempre, un business milionario. Una tesi di laurea ha calcolato che il fatturato complessivo legato a trent’anni di pellegrinaggi ammonterebbe a 11 miliardi di euro. Accanto al business che arricchisce titolari di hotel, ristoranti, agenzie di viaggi e negozi di souvenir, tra l’altro, c’è un evento religioso messo in discussione dalla Chiesa Cattolica stessa. Il Vaticano non ha riconosciuto l’autenticità delle apparizioni della Madonna e Papa Francesco è parso piuttosto critico nei confronti dei sei veggenti che, a partire dal 24 giugno del 1981, giurarono di aver visto Maria e che le apparizioni si ripetevano in modo ciclico e portavano messaggi. Quindi ricapitoliamo: a Medjugorje la Madonna non è apparsa – almeno se vogliamo dare credito al Vaticano – non essendo mai apparsa non ha rilasciato alcun messaggio, però i fedeli oscillano fra il ‘non è vero ma ci credo’ e ‘il Vaticano sbaglia’.
PAOLO BROSIO: «MEDJUGORJE È LUOGO DI PREGHIERA, NON SIAMO FANATICI»
Da quel giorno Medjugorje, da sconosciuto villaggio bosniaco di 700 anime, è diventato un paesino di 5000 abitanti e meta per un milione di pellegrini all’anno. In questo piccolo pezzo di terra immerso nel verde, a pochi chilometri da Mostar e dal confine con la Croazia, sono sorti così alberghi, bar, ristoranti, negozietti. I pellegrini, ovunque, portano soldi. Di turismo religioso in molti hanno cominciato a vivere. Come Marjia Pavlovic, una dei veggenti, che ha aperto una pensione per ricevere i fedeli. Raccontando loro che la Vergine le appare alle 18.45 di ogni giorno e che il 25 di ogni mese le riferisce un messaggio. Insomma, la Madonna di Medjugorje è un affare per tutti.
Vescovo di Mostar: «Non sono autentiche le apparizioni»
Meno per lo spirito cristiano, se fosse vero ciò che afferma monsignor Ratko Peric, vescovo di Mostar, secondo cui «non sono autentiche le apparizioni di Medjugorje». Una presa di posizione netta a poche ore dall’arrivo a Medjugorje dell’arcivescovo di Varsavia e Praga Henryk Hoser, inviato da Papa Francesco ufficialmente per occuparsi dei pellegrini e vedere ciò che succede ai fedeli. Sull’autenticità delle apparizioni la parola spetta alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Peric ha pubblicato un lungo articolo in cui nega la veridicità di tutte le apparizioni, anche delle prime, quelle che, secondo la commissione istituita da Benedetto XVI e guidata dal cardinale Camillo Ruini, dovrebbero essere autentiche.
«La posizione di questa Curia per tutto questo periodo è stata chiara e risoluta: non si tratta di vere apparizioni della Beata Vergine Maria – accusa Peric – Sebbene talvolta si sia detto che le apparizioni dei primi giorni potrebbero essere ritenute autentiche e che poi sarebbe sopraggiunta una sovrastruttura per altri motivi, in prevalenza non religiosi, questa Curia ha promosso la verità anche riguardo a questi primi giorni». Conclusioni a cui è giunto «dopo aver trascritto dai registratori le audiocassette contenenti i colloqui avvenuti, nella prima settimana, nell’ufficio parrocchiale di Medjugorje, tra il personale pastorale e i ragazzi e le ragazze che avevano affermato di aver visto la Madonna, con piena convinzione e responsabilità esponiamo i motivi per cui appare evidente la non autenticità dei presunti fenomeni».
Medjugorje: un business da 11 miliardi di euro
Ma torniamo all’aspetto del business, approfondito nella tesi di dottorato dal titolo “Il fenomeno Medjugorje come brand mondiale e destinazione top del turismo della fede”, discussa nel 2014 presso la facoltà di Scienze sociali dell’Università Hercegovina, con sede proprio a Medjugorje. L’autore della tesi, Vencel Culjak, ha mostrato come dal 1981 al 2013 Medjugorje avrebbe fatto spendere a fedeli e turisti 11 miliardi di euro. «Analizzando il numero dei pellegrini, i Paesi di provenienza, il potere d’acquisto e le spese di viaggio e alloggio – ha scritto Culjak – si può stabilire in 2,85 miliardi di euro l’ammontare totale delle spese turistiche». Solo le spese di viaggio sono costate «8,5 miliardi di euro». Insomma, circa 11 miliardi in 32 anni che però non hanno fatto la fortuna dello Stato. Secondo lo studioso, infatti, nelle casse della Bosnia è entrato solo un terzo delle tasse dovute da imprenditori, albergatori, ristoratori e gestori di negozi, perché troppi di essi hanno lavorato a nero e senza permessi. È anche per questo giro di soldi, non sempre regolare, che il Papa vuole vederci chiaro e ha inviato l’arcivescovo.