Ieri è avvenuto nella sede di Fratelli d’Italia in via della Scrofa l’incontro rappacificatore tra Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, anche se sembra il Cavaliere a uscire scottato e ammansito dal vertice: i desiderata dell’ex premier paiono sfumati senza possibilità di rettifica.
Dopo le fibrillazioni durante l’elezione del presidente del Senato, ora la presidente di Fratelli d’Italia vorrebbe procedere spedita nel confezionare la lista dei ministri da presentare al presidente Mattarella, al fine di velocizzare il più possibile i tempi di formazione del nuovo governo.
Una lezione universitaria, circa un’ora e mezza è durato l’incontro tra Meloni e Berlusconi a via della Scrofa, la storica sede che ospita la destra italiana fin dai tempi del Movimento Sociale Italiano.
Un vertice dove Meloni, in una inversione delle parti che farebbe pensare al karma, istruisce l’ex premier su come proseguire nella delicata fase di formazione del governo. Per il Cavaliere alcuna soddisfazione è concessa: i ministeri di Giustizia, Sanità e Sviluppo Economico appaiono irraggiungibili.
Il vertice si apre con la ricucitura, per lo meno formale, dei rapporti personali e politici tra i due leader, dopo la decisione del magnate di Fininvest e Mediaset di non votare la fiducia al neo presidente del Senato La Russa facendo uscire i propri parlamentari dall’aula, e soprattutto dopo la pubblicazione di alcuni scatti realizzati durante la seduta di Palazzo Madama in cui il Cavaliere è sorpreso ad annotare considerazioni dispregiative verso Meloni (“arrogante, supponente, prepotente, una con cui non si può trattare”).
La stessa premier in pectore aveva ribattuto puntuta sull’assenza di un ulteriore punto nella lista: la sua non ricattabilità, frase che sembrava aver squarciato il velo di ipocrisia di una coalizione da mesi dimostratasi unita solo per il vantaggio elettorale che ciò avrebbe comportato.
La difesa del capo forzista, presentata di fatto solo al vertice di ieri dopo due giorni di silenzio, scarica la colpa degli epiteti verso la Meloni a voci interne al partito che il Cavaliere si sarebbe limitato ad annotare. Tuttavia l’episodio è troppo ingarbugliato e le questioni da affrontare troppo urgenti e numerose per cui Meloni avrebbe ribadito la necessità di creare un governo coeso rapidamente e di lasciare le scaramucce passate nel dimenticatoio.
Insomma il potere unisce chi ce l’ha con chi ne viene dispensato, si potrebbe concludere, eppure anche in questo frangente per Berlusconi vi sono ben poche gioie.
Forza Italia dovrebbe ottenere nel prossimo governo cinque dicasteri, gli stessi affidati alla Lega; sempre due saranno i vicepremier della, ancora eventuale, presidente del Consiglio Meloni: il leghista Salvini e il forzista Tajani.
Al di là dell’equilibrio geometrico della spartizione, gli azzurri non ottengono le posizioni a loro più gradite, probabilmente il vero smacco per l’anziano leader fondatore del Centrodestra, che uscì nove anni fa da Palazzo Madama come gran cerimoniere di quell’Aula e ora vi si ritrova come frastornato gregario.
Niente ministero della Giustizia per Alberti Casellati, troppo palese l’associazione del dicastero con le leggi ad personam volute dal leader azzurro durante i suoi mandati da presidente del Consiglio, al suo posto l’ex magistrato neo-eletto di Fratelli d’Italia Carlo Nordio.
Neanche i giochi di palazzo, per altro falliti come nel caso dell’elezione di La Russa, frenano lo sgretolarsi dell’impero (politico) berlusconiano. Altra fedelissima forzista che rischia l’esclusione è Anna Maria Bernini, indicata per la scrivania di Università e Ricerca.
Discorso simile per Sanità e Sviluppo Economico: per il primo dicastero il nome di Bertolaso sembra sfumare in favore del profilo tecnico di Orazio Schillaci, mentre appare irremovibile Guido Crosetto, co-fondatore di FdI, al MISE.
A questo punto, secondo la teorica ripartizione di ministeri finora filtrata, FI dovrebbe dirigere: la Farnesina, la Transizione Ecologica, la Pubblica Amministrazione, le Riforme e l’Università.
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