Meloni sul caso Zaki: “Sono felice, ora vogliamo verità e giustizia per Regeni”

La premier Giorgia Meloni è intervenuta sulla liberazione di Patrick Zaki, esprimendo felicità ma anche la volontà di risolvere un’altra questione, quella su Regeni.

Giorgia Meloni
Giorgia Meloni – Nanopress.it

Ha parlato ai microfoni di Rtl 102.5 sottolineando che non le interessano le polemiche perché queste nascono intorno a qualsiasi questione, indipendentemente dal tema. Invece, c’è forte volontà da parte del governo di chiarire un caso che ha ancora tanti punti oscuri, quello sul ricercatore Giulio Regeni, il cui omicidio è uno dei punti di attrito con l’Egitto ancora oggi dopo anni in cui venne commesso. Il dottorando venne rapito al Il Cairo a gennaio e ritrovato senza vita il mese dopo, con evidenti segni di torture riconducibili alla polizia del Paese. Come allora, anche oggi nell’ambito del caso di Patrick Zaki, il governo italiano si distacca da quello egiziano in merito all’uso della violenza per reprimere la libertà di espressione, anche se il Paese difficilmente ammette la verità.

Meloni sul caso Zaki

Una grande vittoria quella italiana in merito alla liberazione dell’attivista Patrick Zaki, che ha ottenuto la grazia pochi giorni fa dopo aver ottenuto inizialmente la condanna a 3 anni per aver usato Facebook in un modo che il governo egiziano ha ritenuto irrispettoso e oltraggioso.

Così, ritenendolo una minaccia per la sicurezza e la stabilità del Paese, quando lo studente dell’Università di Bologna è rientrato in patria per un master, non ha più avuto la possibilità di rientrare in Italia, tanto che ha discusso la tesi di laurea in videocollegamento.

Ora il ragazzo è rientrato in Italia dopo una lunga battaglia legale e scambi di accuse fra i governi dei Paesi coinvolti. Una grande festa per lui e ad accoglierlo all’aeroporto di Malpensa c’erano i professori dell’ateneo, compreso il rettore e poi tanti amici, sostenitori e familiari. Felice per la risoluzione della vicenda anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ne ha parlato su Rtl 102.5, sottolineando che tralasciando le polemiche che inevitabilmente nascono intorno ad ogni cosa, è contenta per il ragazzo e per chi si è battuto per lui.

“Con lo stesso spirito cerchiamo ora verità e giustizia per un altro grande mistero che ci lega all’Egitto, quello dell’omicidio di Giulio Regeni” ha detto riportando l’attenzione su un caso mediatico fra i peggiori degli ultimi decenni.

Per Giorgia Meloni, la strategia utilizzata in precedenza con l’Egitto, quella della sinistra, era sbagliata poiché basata su un atteggiamento di superiorità che difficilmente porta a buoni risultati. “La differenza è stato un approccio del governo da pari a pari, basato sul confronto e sul rispetto e questo ha portato ad una apertura con l’Egitto“.

Si è soffermata poi su altri argomenti come la vittoria di Vox in Spagna, partito a cui è molto vicina e sul salario minimo. In quest’ultimo caso ha affermato “Sono incuriosita dall’opposizione, che si trova al governo da 10 anni e accusa noi, che lo siamo da pochi mesi, la causa del precariato e dei problemi legati al salario. Credo che invece siano state le politiche precedenti a non fare nulla, anche perché il nostro obiettivo è quello di abbassare le tasse sul lavoro e quindi capiamo bene il problema dei salari in Italia”.

Torniamo però all’argomento con cui abbiamo titolato questo articolo, ovvero la liberazione di Patrick Zaki che sebbene non fosse effettivamente rinchiuso in una cella, l’impossibilità di rientrare in Italia è stata una condizione terribile per lui perché è stato privato della libertà.

Patrick Zaki
Patrick Zaki – Nanopress.it

Ancor peggio quando ha ottenuto una condanna a 3 anni ma, forse anche grazie al buon approccio descritto da Meloni, l’Egitto ha deciso di annullare la condanna per l’articolo del 2019 che portò inizialmente a un breve arresto e poi all’accusa di diffusione di notizie false.

La decisione, accolta con gioia da tutti noi che seguivamo le sue vicissitudini, è stata presa dal presidente Al-Sisi, lo stesso accusato pesantemente nel 2016 in merito al caso Regeni riportato all’attenzione dalla presidente del Consiglio nell’intervista radiofonica, per i maltrattamenti evidenti subiti dal dottorando dell’Università di Cambridge. Riassumiamo in breve l’omicidio.

Il caso Regeni

L’omicidio di Giulio Regeni venne commesso in Egitto nel 2016 dando vita in tutto il mondo a un dibattito molto acceso sul coinvolgimento nella vicenda dei servizi segreti egiziani e della polizia locale. Il Paese, come oggi, era guidato dal presidente Al-Sisi, ex militare il cui regime è stato molto contestato in quegli anni perché sebbene oggi Zaki se la sia “cavata”, all’epoca Regeni non venne perdonato.

Giulio, dottorando all’Università di Cambridge, venne sequestrato e torturato per giorni. Ci furono vari depistaggi in cui il governo egiziano accusò dei gruppi criminali locali di aver compiuto l’omicidio per estorcere denaro e droga al ricercatore, questa tesi non convinse mai i familiari e in realtà poi la Procura di Roma, che lavorava alle indagini, appurò che non poteva essere andata così.

Secondo le autorità italiane invece, il governo egiziano pensava che Regeni volesse finanziare una rivoluzione, sospetto del tutto privo di fondamenti. Il dottorando venne rapito il 25 gennaio del 2016 a Il Cairo e ritrovato senza vita il 3 febbraio, dopo giorni di prigionia e torture di ogni tipo. Il corpo venne ritrovato nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti e il corpo era ricoperto di segni di torture, tanto che sua madre lo riconobbe solo dalla punta del naso, come riportano gli articoli dell’epoca.

Sulla sua pelle erano incise alcune lettere, pratica in uso in Egitto e tratto distintivo della polizia locale. Secondo il Parlamento europeo, l’omicidio non è stato un evento isolato ma si collocava in un contesto di torture, sparizioni forzate e morti sospette in carcere, avvenute in tutto il Paese in quegli anni.

Giulio si trovava in Egitto per una ricerca sui sindacati indipendenti, presso l’Università del Cairo. In alcuni articoli ha descritto la difficile situazione sindacale dopo la rivoluzione egiziana del 2011 e probabilmente è morto proprio perché la libertà di espressione non è contemplata nel duro regime di Al-Sisi.

Il ragazzo, 28 anni appena compiuti, venne privato della sua dignità anche da morto, infatti il corpo nudo venne abbandonato in un fossato, ricoperto da contusioni, abrasioni, lividi e segni di aggressione di ogni tipo. Si contarono fratture ossee in tutto il corpo (fra cui costole, dita delle mani e dei piedi, entrambe le gambe, le braccia e le scapole), i denti rotti, coltellate multiple, tagli, bruciature, incisioni e poi dagli esami autoptici emersero un’emorragia cerebrale e una vertebra cervicale fratturata con un violento colpo al collo. Insomma, un corpo martoriato che lasciò sua madre senza parole, fortemente scioccata.

Giulio Regeni
Giulio Regeni -Nanopress.it

Inizialmente le autorità egiziane garantirono collaborazione ma non fu così, quelle italiane riuscirono a interrogare solo pochi testimoni e per alcuni minuti, dopo che gli agenti egiziani avevano parlato con le stesse persone per ore. Ancora, le riprese video dove il ricercatore appariva all’interno della stazione della metropolitana, vennero cancellate e furono negati i tabulati telefonici.

Le indagini andarono avanti, nel marzo del 2016 furono trovati i documenti ma in seguito continuò l’opposizione del governo egiziano, che rese irreperibili i principali 4 indagati emersi nel corso delle indagini, tutti ufficiali della National Security Agency. Nel 2021 sono stati rinviati a giudizio, l’anno dopo che la Procura ha chiuso le indagini preliminari.

Insomma un caso terribile della nostra cronaca, non risolto del tutto, che si contrappone però a quello di Patrick Zaki, che poteva essere l’ennesimo ricercatore a fare quella fine ma i tempi sono cambiati e forse come dice la Meloni, il merito è di una migliore politica, capace di conversare con un governo che da sempre, notoriamente è fin troppo rigido nel far rispettare le regole.

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