Sono passati settantanove anni da una delle pagine più buie della storia italiana. A Roma, il 16 ottobre del 1943, le SS naziste iniziarono, infatti, il rastrellamento del Ghetto ebraico, catturando 1259 persone, di cui 207 bambini, e solo 16 sopravvissero. Oggi, tutte le forze politiche, con Giorgia Meloni, in testa hanno ricordato il tragico avvenimento.
Per la premier in pectore, la ricorrenza deve fare da monito affinché “certe tragedie non accadano più“. “Una memoria per continuare a combattere, in ogni sua forma, l’antisemitismo“, ha continuato ancora la leader di Fratelli d’Italia. A lei hanno fatto da eco Matteo Salvini, Ignazio La Russa, ma anche Enrico Letta, Giuseppe Conte e Carlo Calenda.
Il 16 ottobre 1943 non è un giorno come tanti. Non lo è per gli italiani, che ora si trovano sotto l’occupazione dei tedeschi, non lo è soprattutto per i tanti ebrei che vivono nel nostro Paese, a Roma specialmente, nel Ghetto. E poi è sabato, appunto: un sabato di festa che si trasforma in tragedia, anzi in una delle pagine più buie della storia.
Trecentosessantacinque uomini della polizia tedesca, manovrati da 14 ufficiali e sottufficiali della Gestapo, arrivano in via del Portico d’Ottavia e nelle vie vicine, nella Capitale, e iniziano un rastrellamento mirato degli appartenenti alla comunità ebraica. Sono le cinque del mattino, e l’operazione inizia bloccando la strada, evacuando gli isolati volta per volta e poi radunando le persone.
Non c’è bisogno della forza, racconta poi Herbert Kappler, il tenente colonnello delle SS che a Roma comanda. Pur spaventati, gli ebrei romani, già censiti dal regime di Benito Mussolini, si ammassano disciplinatamente. Sono 1259 quelli che vengono prelevati e portati nei camion, sono 689 donne, 363 uomini e, addirittura, 207 bambini e bambine.
“Dopo la liberazione dei meticci e degli stranieri (compreso un cittadino vaticano), delle famiglie di matrimoni misti compreso il coniuge ebreo, del personale di casa ariano e dei subaffittuari, rimasero presi 1007 giudei. Il trasporto fissato per lunedì 18 ottobre ore 9“, si legge nel rapporto inviato al generale Karl Wolff, generale delle SS, dal tenente di stanza in Italia.
C’è chi riesce a fuggire, chi invece viene condotto alla stazione Tiburtina, caricato su un convoglio con 18 carri bestiame e finisce nei campi di concentramento. La maggior parte va ad Auschwitz-Birkenau e solo 16 di loro tornano a casa: sono 15 uomini e una sola donna, Settimia Spizzichino, che muore poi nel 2000. Nessun bambino si salva. Il 16 ottobre del 1943 è il Sabato Nero, e ancora oggi si deve e si ricorda.
“Il 16 ottobre 1943 è per Roma e per l’Italia una giornata tragica, buia e insanabile“: è Giorgia Meloni, premier in pectore, che parla e ricorda “quella mattina, pochi minuti dopo le 5.00, la vile e disumana deportazione di ebrei romani per mano della furia nazifascista“, quella in cui “donne, uomini e bambini furono strappati dalla vita, casa per casa. Più di mille persone furono deportate e di loro solo quindici uomini e una donna fecero ritorno. Nessuno dei bambini“.
La leader di Fratelli d’Italia, poi, continua che quello del Sabato nero è “un orrore che deve essere da monito perché certe tragedie non accadano più. Una memoria che sappiamo essere di tutti gli italiani, una memoria che serve a costruire gli anticorpi contro l’indifferenza e l’odio. Una memoria per continuare a combattere, in ogni sua forma, l’antisemitismo“.
Come lei, ricordano il rastrellamento del Ghetto di Roma anche il neo presidente del Senato, Ignazio La Russa, affermando che “è compito di tutti, a cominciare dalle più alte istituzioni, tramandarne il ricordo affinché in futuro non si ripetano mai più simili tragedie“, e tutto il partito che, invece, parla di “un anniversario che non può essere solo un mero ricordo ma deve essere memoria ‘attiva’ e spingere alla lotta contro ogni forma di antisemitismo“.
Pure Matteo Salvini, segretario federale della Lega, ricorda il 16 ottobre del 1943 e anche lui esprime la solidarietà alla comunità ebraica. “Dobbiamo garantire l’impegno affinché certi orrori non si ripetano. L’antisemitismo non dev’essere mai sottovalutato o, peggio, tollerato“, scrive in una nota, a cui fa da eco anche il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, precisando come sia “dovere delle istituzione mantenere sempre vivo il ricordo per contrastare qualsiasi forma di razzismo e antisemitismo“.
Quel giorno, tra l’altro, unisce anche l’opposizione. Da Enrico Letta, passando per Giuseppe Conte e arrivando fino a Carlo Calenda, tutti i maggiori leader dei partiti hanno un pensiero per i deportati nei campi di sterminio di settantanove anni fa.
Solo Angelo Bonelli ed Eleonora Evi, coportavoce di Europa Verde, pur condannando ciò che è successo, colgono l’occasione per una critica nei confronti di Meloni e delle scelte fatte nei primi giorni di legislatura. “Per essere coerente, la premier in pectore deve togliere dal simbolo di Fratelli d’Italia la fiamma tricolore, ricordo di quella che arde sulla tomba di Mussolini e simbolo del fascismo italiano – hanno detto -. Anche se l’elezione come presidenti del Senato e della Camera di un nostalgico fascista e un filo putiniano oltranzista contro diritti delle donne e della comunità Lgbtq+ sembrano andare nella direzione opposta“.
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