L’Afghanistan sta vivendo un momento estremamente complicato, che vede da un lato una netta contrapposizione delle nazioni occidentali, che esigono diritti ed uguaglianza per le donne e, proprio oggi, in occasione del vertice del G7 è stato chiesto ufficialmente di ripristinare la possibilità delle donne di lavorare manca di poter studiare. Allo stesso tempo si apprende che un alto esponente della chiesa musulmana ha condannato il divieto d’istruzione imposto alle ragazze e alle donne afghane dai talebani.
Anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che da molto tempo opera sul territorio, ha deciso di pensare seriamente al ritiro della missione umanitaria presente in Afghanistan, dopo che è stato espressamente vietato alle donne di lavorare per le organizzazioni che fanno capo alle Nazioni Unite e, pertanto, non è più possibile operare a pieno ritmo ma soprattutto l’Onu non intende negoziare sui diritti umani.
In occasione del vertice del G7 tenutosi proprio in questi giorni in Giappone è stata condivisa oggi una dichiarazione in cui i ministri degli Esteri, rappresentanti dei paesi membri, hanno voluto all’unanimità chiedere la conclusione delle restrizioni imposte al genere femminile, introdotte nuovamente da quando il governo talebano ha ripreso a pieno ritmo il potere In Afghanistan.
Sostanzialmente nel giro di poco più di un anno le donne hanno visto privarsi nuovamente di ogni diritto e di possibilità di opinione ma anche di obiettivi, dato che non possono lavorare per le ONG e il divieto è stato esteso anche per le Nazioni Unite. Per le donne è sempre più difficile trovare riscontro anche in altri ambiti ed è stato vietato il diritto di poter accedere all’istruzione e ciò ha gettato nella disperazione le ragazze e le donne afghane, ma sono tornati anche vecchi divieti, come quello di praticare sport, di entrare in palestre e piscina virgola di poter recarsi in un negozio senza un accompagnatore che sia un membro stretto della famiglia.
Proprio per questo, e dopo svariati appelli precedenti, i membri del G7 hanno voluto sottolineare nuovamente la loro posizione e hanno affermato ufficialmente: “Chiediamo l’immediata revoca delle decisioni inaccettabili che limitano i diritti umani e le libertà fondamentali, compresi gli ultimi divieti che vietano alle donne afgane di lavorare per le ONG e le Nazioni Unite”.
Le autorità talebane hanno però affermato che si tratta di una questione interna allo stato e pertanto dovrebbe essere: “rispettata da tutte le parti”.
Oltre alla dichiarazione del G7 è pervenuta anche una nota ufficiale dell’Onu che ha spiegato che l’attuale divieto imposto dai talebani costringe l’organizzazione a fare una: “scelta spaventosa sull’opportunità di continuare le operazioni in Afghanistan.”
I massimi vertici delle Nazioni Unite hanno precisato, non appena emersa la notizia del divieto, che qualcosa di “illegale secondo il diritto internazionale, inclusa la Carta delle Nazioni Unite”.
In base alla loro interpretazione dell’Islam, le autorità talebane hanno imposto una serie di restrizioni alle donne afgane da quando hanno preso il potere nel 2021, compreso il divieto di accedere allo studio e a posizioni lavorative prima concesse.
La situazione attuale che sta vivendo l’Afghanistan vede le donne private di ogni diritto ed emarginate con l’intento di far rispettare ogni imposizione religiosa islamica nella maniera più dura possibile.
Nell’islam, però, non è mai menzionato che la donna non debba cedere ai percorsi di istruzione e neanche nelle leggi della Sharia seguite ciecamente anche da molti altri Stati islamici.
Il gruppo dei rappresentanti del G7 ha anche denunciato ripetutamente le “sistematiche violazioni dei diritti umani delle donne e delle ragazze e la discriminazione contro i membri delle minoranze religiose ed etniche da parte delle autorità talebane.”
Negli ultimi mesi l’indignazione globale verso le scelte dei talebani e repentinamente cresciuta, soprattutto a causa del divieto di lavorare per le organizzazioni non governative che è stato esteso anche alle Nazioni Unite.
Mohammad bin Abdulkarim Al-Issa, chi è il segretario della generale della Muslim World League ovvero uno dei massimi rappresentanti della Chiesa musulmana, ha precisato che a suo avviso gli studiosi islamici e le università di giurisprudenza stanno sbagliando nel vietare l’istruzione e si oppone con fermezza alla decisione dell’attuale governo dei talebani, che hanno deciso di vietare alle donne di lavorare e ricevere un’istruzione adeguata in Afghanistan.
Al-Issa ha precisato che, all’interno dei paesi islamici, esistono realtà dove le donne lavorano e sono impegnate all’interno delle Nazioni Unite ma anche in tutte le tipologie di impiego all’interno dell’ambito accademico.
Il massimo esponente musulmano ha precisato che: “Le donne musulmane hanno svolto ruoli chiave nella storia dell’Islam. Ci sono donne dei paesi islamici che lavorano alle Nazioni Unite e insegnano a tutti i livelli di istruzione. Università del Fiqh (Giurisprudenza) e studiosi di alto livello del mondo islamico e diverse sette sono contrari a questa decisione dei talebani”.
Nonostante la precisazione arrivata dall’alta carica islamica, l’Afghanistan ha precisato e risposto al religioso che le autorità talebane si attengono soltanto a far rispettare le leggi in conformità con la sharia islamica.
Zabihullah Mujahid ha dichiarato in una nota ufficiale che: “L’Emirato islamico dell’Afghanistan sta facendo del suo meglio per fare progressi in questo settore, e ciò che è possibile e accettabile nella nostra società, faremo sicuramente del nostro meglio per raggiungerlo”.
Ayashi Yoshimasa, ministro degli affari Esteri del Giappone, che è uno dei paesi che ha ancora contatti con Kabul, ha voluto sottolineare la necessità di impegnarsi: “in modo persistente e direttamente con l’Emirato islamico, pur continuando a fornire assistenza al popolo afghano in collaborazione con la comunità internazionale.”
La dichiarazione ufficiale riporta anche che: “Per quanto riguarda l’Afghanistan, il ministro Hayashi ha espresso seria preoccupazione per il peggioramento dei diritti umani e della situazione umanitaria in Afghanistan e, in particolare, ha condannato fermamente le recenti decisioni dei talebani che sopprimono i diritti umani, comprese le maggiori restrizioni ai diritti delle donne”.
Amina Mohammed, vice capo delle nazioni unite, ha rilasciato un’intervista ad un emittente straniera, nella quale ha spiegato che l’impegno con il governo afghano deve essere continuativo per poter essere efficace, data la situazione attuale.
La funzionaria dell’Onu ha dichiarato inoltre che: “La mia esperienza è che dobbiamo continuare a impegnarci, abbiamo bisogno che la comunità internazionale si unisca, come ho detto, con il vicinato e faccia pressione, le comunità e i paesi musulmani, l’OIC, devono fare pressione”.
Due settimane fa è stato imposto alle dipendenti afghane delle Nazioni Unite il divieto di poter prestare servizio nella provincia di Nangarhar e questa decisione ha sollevato numerose critiche e ammonizioni da parte dell’autorità internazionali.
A causa della decisione rimarcata nuovamente dai talebani, che vietano il lavoro presso l’Onu alle donne, l’organizzazione sta valutando se prendere una decisione straziante ovvero quella di ritirarsi dall’Afghanistan.
Nel caso in cui entro maggio non si vedano miglioramenti e l’organizzazione non riesco a convincere i talebani a far lavorare le donne, sarà costretta a interrompere il programma di sviluppo delle Nazioni Unite, che attualmente è ostacolato soltanto dalla scelta intrapresa dal governo afghano.
Attualmente il governo talebano in Afghanistan sto negoziando con i funzionari dell’Onu e l’organizzazione spera di riuscire ad ottenere l’opportunità di vedere ritirata la scelta di vietare alle donne il lavoro presso di loro, stando a quanto riferito dall’amministratore dell’UNDP Achim Steiner.
Steiner ha affermato in merito alla questione che: “È giusto dire che dove siamo in questo momento l’intero sistema delle Nazioni Unite deve fare un passo indietro e rivalutare la sua capacità di operare lì. Ma non si tratta di negoziare principi fondamentali, diritti umani”.
Secondo il funzionario i talebani hanno permesso di intraprendere determinati lavori alle donne e un rapporto delle Nazioni Unite condiviso martedì metti in evidenza il profondo bisogno di donne lavoratrici a causa della crisi economica che sta attraversando, sia a livello economico che sociale.
La crisi economica, nella quale è caduto l’Afghanistan dopo il ritiro delle truppe statunitensi e il conseguente insediamento dei talebani al comando del governo, è peggiorata in maniera repentina e a causa delle scelte intraprese dal governo, gli aiuti da parte dell’ Occidente hanno cominciato a scarseggiare e così la popolazione si è ritrovata in una situazione drammatica.
Nonostante il rapporto condiviso dall’Onu riveli un minimo aumento del commercio, esistono ancora problematiche profonde e l’inflazione così come il valore della moneta non riescono a sostenere le esigenze statali dell’Afghanistan.
La maggior parte dei problemi economici sono scaturiti dalle politiche attuate dai talebani che hanno deciso di tagliare fuori le donne dalle politiche lavorative, secondo quanto riferito da Steiner.
I crescenti problemi economici del popolo afghano necessiterebbero di una presenza maggiore e costante dell’ Onu, ma l’organizzazione ha deciso che i diritti umani non sono negoziabili e pertanto se la decisione del governo afghano non Subirà cambiamenti è inevitabile che l’organizzazione debba lasciare il paese.
Ha sottolineato che: “Penso che non ci sia altro modo per dirlo che straziante. Voglio dire, se dovessi immaginare che la famiglia delle Nazioni Unite non sia in Afghanistan oggi, ho davanti a me queste immagini di milioni di ragazze, ragazzi, padri, madri, che essenzialmente non avranno abbastanza da mangiare”.
Nonostante questa riflessione importante dell’organizzazione rimane un debole ottimismo, dato che i talebani consentono ancora di lavorare in ambito sanitario ma anche in alcuni aspetti accademici e lasciano la possibilità al genere femminile di avviare alcune tipologie di piccole imprese. Pertanto resta viva la speranza nei funzionari che sperano intravedere un cambiamento nella presa di posizione dei tebani.
Ha spiegato poi che: “In un certo senso, le autorità de facto hanno consentito alle Nazioni Unite di svolgere un’importante serie di attività umanitarie e di assistenza allo sviluppo di emergenza. Ma stanno anche spostando continuamente i pali della porta, emanando nuovi editti”.
Il funzionario ha concluso poi affermando che: “Ci stiamo avvicinando a un momento fondamentale. E ovviamente la nostra speranza e aspettativa è che prevarrà un po’ di buon senso“.
Le autorità istituzionali dell’Afghanistan non hanno rilasciato commenti nonostante le richieste dei media internazionali.
L’agenzia umanitaria che hanno operato in Afghanistan sono state necessarie a fornire alla popolazione assistenza sanitaria e sostentamento, in una realtà che mostra povertà assoluta e condizioni quotidiane davvero critiche.
Il seggio dell’Onu in Afghanistan è presidiato dall’ex presidente AshrafGhani, dato che nessun paese ha ufficialmente riconosciuto il nuovo governo dei talebani.
Stephane Dujarric, portavoce delle Nazioni Unite, ha affermato che: “I 3.300 afgani impiegati dalle Nazioni Unite – 2.700 uomini e 600 donne – sono rimasti a casa dal 12 aprile, ma continuano a lavorare e saranno pagati, ha detto il portavoce delle Nazioni Unite Stephane Dujarric. I 600 membri del personale internazionale delle Nazioni Unite, comprese 200 donne, non sono interessati dal divieto dei talebani.”
Mentre l’Afghanistan è preso di mira dalle Nazioni occidentali e non ha, per ora, voluto rispondere alle accuse, emerge invece una dichiarazione effettuata dal portavoce dei talebani che ha voluto esprimere la propria gratitudine al governo di Pechino per aver continuato ad impegnarsi diplomaticamente con Kabul.
Durante un’intervista rilasciata ha un’emittente cinese il funzionario ha voluto fare alcune ore precisazioni in merito.
Mujahid ha dichiarato: “Siamo grati al governo cinese. Hanno aiutato la nostra nazione mantenendo aperta e attiva la loro ambasciata”.
Il portavoce afghano ha precisato che l’Emirato Islamico e Pechino stanno attuando un rapporto di cooperazione in diversi ambiti e ha affermato in merito che: “Stiamo ancora parlando con loro di una serie di questioni, tra cui il progetto Qashgari, che verrà affrontato, e il progetto Mes Aynak, anch’esso in fase di risoluzione. Sia l’Afghanistan che la Cina devono investire e trarne vantaggio. Il modo in cui la Cina vede gli investimenti in Afghanistan è ammirevole e ne abbiamo entrambi bisogno. La Cina, invece, ha bisogno di un mercato per i suoi investimenti nella regione”.
Salim Paigir, analista politico, ha sostenuto che a suo avviso: “Più ci avviciniamo alla Cina, più cose perdiamo. L’unica cosa che l’Emirato islamico dell’Afghanistan può fare nella situazione odierna è mantenere l’equilibrio, se non mantengono l’equilibrio, inizieranno le guerre per procura in Afghanistan”.
Mentre l’economista Shakir Yaqoobi ha riferito che: “La Cina può essere riconosciuta come un partner valido e affidabile nel campo dell’estrazione mineraria afgana se gli interessi economici dell’Afghanistan sono considerati necessari, al di sopra di qualsiasi altro obiettivo politico ed economico“.
Nonostante il governo talebano dell’Afghanistan abbia ambasciate dislocate a Teheran, Istanbul, Islamabad, Pechino, Dubai, Mosca e in diverse mozioni arabe e africane, nessuna di queste autorità riconosce formalmente le attuali autorità afghane.
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