Il mercato libero dell’energia non ha creato vera concorrenza e per lo più non è conveniente. A dirlo è l’Autorità per l’energia che ha pubblicato l’annuale relazione: il risparmio tanto decantato c’è solo per chi consuma meno di 2.500 kilowattora all’anno, riuscendo così a spendere poco meno della media europea. Per gli altri, cioè la stragrande maggioranza di famiglie, partite Iva e PMI, le bollette sono quasi più del doppio della media UE: perché in Italia il mercato libero non ha portato a vera concorrenza e quindi a una diminuzione dei costi?
Secondo la definizione data dalla stessa Autorità, il mercato libero permette al consumatore domestico “di decidere da quale venditore e a quali condizioni acquistare energia elettrica e gas per le necessità della propria abitazione”. L’acquisto dell’energia elettrica e del gas è stato liberalizzato nel 2003, recependo una direttiva europea per cui oggi non esiste più un monopolio: chiunque può scegliere la compagnia con cui stipulare il contratto e la tipologia di servizio (fascia oraria e kilowattora). Lo scopo è creare una concorrenza tra le società in modo da abbassare i costi per il cliente finale, come successo per le tariffe dei cellulari o le connessioni internet. Nel settore energetico però qualcosa non ha funzionato.
Le voci nascoste nelle bollette
Uno dei motivi riguarda le voci nascoste nelle bollette. Chiunque abbia ricevuto una bolletta, ha notato le diverse voci che costituiscono il costo finale: c’è il costo effettivo dell’energia, quello della tassazione e Iva, quello per la gestione della rete e gli oneri generali di sistema. I servizi di vendita, cioè il consumo reale, incide sul totale per il 44,66%; più della metà della bolletta se ne va in imposte, gestione della distribuzione e costi che sono l’ossatura del sistema, stabiliti dall’Autorità. Le aziende dunque possono abbassare solo la voce dell’erogazione, cioè meno della metà del totale, mentre gli altri costi sono fissi perché stabiliti per legge.
Gli oneri di sistema
Un capitolo a parte meritano gli oneri di sistema che compongono il 23,98% del costo totale della bolletta. Si tratta di costi fissi stabiliti dall’Autority che servono ad alimentare il sistema di incentivi per la gestione del patrimonio energetico: l’84% va alle rinnovabili, il 7,5% alla dismissione delle centrali nucleari e le scorie, il 4,6% agli energivori (le grandi imprese che possono comprare energia all’ingrosso con grandi risparmi), l’1,6% per la promozione dell’efficenza e l’1,4% per le tariffe agevolate delle Ferrovie. Si tratta di spese che vengono pagate dal singolo consumatore in ogni bolletta e sono voci su cui le compagnie non possono agire.
Il mercato tutelato
Secondo la legge attuale, il mercato libero fino al 2018 non è un obbligo ma una scelta del cittadino che può aderire o meno. Dal 2003 a oggi, solo un consumatore su quattro è passato al mercato libero, mentre la maggior parte degli italiani ha deciso di rimanere con il servizio nazionale: a quel punto, si è reso necessario tutelare quella grande fetta di popolazione che non è entrata nel libero mercato, imponendo tariffe calmierate fissate dall’Autorità nazionale e riviste ogni tre mesi. Il mercato tutelato ha costi più contenuti rispetto a quello libero e per le famiglie questo si traduce in importanti risparmi sulle bollette, bloccando però la nascita di una sana concorrenza. Ecco perché le bollette del mercato libero sono più care del 15-20%: un vero salasso.
Consumi effettivi e presunti
Altro discorso va fatto per i consumi effettivi e presunti, con la conseguente pratica dei conguagli che arrivano a decimare tutti i risparmi di una famiglia. Secondo l’Aeegsi, l’autolettura sta prendendo piede per le bollette dell’energia elettrica, arrivando oggi al 75% del totale, mentre per la fornitura di gas la percentuale è ferma a solo l’8,5%. Comunicare i dati reali del consumo permette (di norma) di avere bollette meno care anche perché il calcolo dei consumi presunti è ancora troppo ambiguo e si scosta troppo da quello reale.
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