Quindici anni fa, nella notte tra il 1 e il 2 novembre 2007, Meredith Kercher veniva brutalmente uccisa nella villetta di via della Pergola n.7 a Perugia. Meredith, 21 anni ed originaria di Southwark nel Regno Unito, studiava nel capoluogo umbro all’università per stranieri.
Il corpo esanime dalla ragazza verrà trovato nella sua camera da letto avvolto da un enorme piumone. Il cerchio sin dalle prime ore si strinse intorno ad Amanda Knox, una delle sue coinquiline, e a Raffaele Sollecito, ragazzo di quest’ultima. Solo in un secondo momento l’attenzione degli investigatori si concentrerà su un terzo soggetto: Rudy Guede.
Ma quali sono i punti oscuri della vicenda?
Sul corpo di Meredith, per gli amici Mez, venivano rinvenute 47 ferite inferte con un’arma da punta e da taglio. Un’arma che non verrà mai ritrovata. Il suo cadavere riportava anche una frattura all’osso ioide, tra mento e laringe. Molteplici ecchimosi erano presenti intorno alla bocca a testimonianza del tentativo compiuto dal suo assassino (o dai suoi assassini) di impedirle di urlare.
Anche le sue braccia, le mani e l’addome, però, riportavano numerosi tagli ed ecchimosi. Verosimilmente conseguenti ad un’attività di difesa da parte di Meredith per sottrarsi al suo terribile destino. Il colpo letale le è stato inflitto sul collo, dove è stata rinvenuta una ferita profonda ben 8 cm. Una ferita che ha comportato un accumulo del sangue nelle vie aeree e le ha impedito di respirare. Meredith è morta affogata nel suo stesso sangue.
Dopo la carneficina, il corpo di Meredith è stato coperto con un piumone. Un elemento che chi opera sulla scena del crimine interpreta come segue: vittima e carnefice si conoscevano. Difatti, dal punto di vista dell’attività di profiling, il tentativo di coprire un cadavere rappresenta un ultimo estremo gesto di pietas. Un tentativo per l’assassino di attenuare le conseguenze psicologiche di quanto commesso.
Della morte di Meredith verranno accusati e processati per omicidio: Amanda Knox, studentessa Erasmus di Seattle, Raffaele Sollecito, laureando in informatica, e Rudy Guede, l’ivoriano amico di Amanda.
Quest’ultimo optò per essere giudicato con il rito abbreviato, mentre la strategia difensiva scelta dai legali di Raffaele ed Amanda fu quella del rito ordinario. Tutti e tre vennero processati con l’accusa di concorso in omicidio e, Rudy, anche per il reato violenza sessuale. Dopo un tortuoso iter processuale, Knox e Sollecito vennero assolti dopo quattro anni di detenzione.
L’unico ad essere ritenuto responsabile fu, invece, proprio Rudy Guede che, in forza del rito abbreviato, venne condannato a 16 anni di carcere per violenza sessuale e concorso in omicidio contro ignoti. Oggi l’uomo ha pagato il suo debito con la giustizia e continua a professarsi innocente.
Quest’ultimo era stato arrestato dopo la fuga in Germania. Ad incastralo, l’impronta della sua mano imbrattata di sangue rinvenuta sul cuscino di fianco al cadavere nonché le impronte e il suo Dna sul corpo di Meredith. L’ivoriano era sicuramente presente sulla scena del crimine. Ma forse non era il solo.
Come accennato, l’arma del delitto non è mai stata ritrovata. In un primo momento era stata identificata in un coltello rinvenuto nella cucina di Raffaele Sollecito. In questo senso, durante lo svolgimento del primo processo era stato isolato sull’impugnatura di quest’ultimo il Dna di Amanda. Sulla lama, invece, erano state repertate delle tracce di sangue di Meredith. Un coltello che secondo l’accusa sarebbe stato ripulito e poi riposto nel cassetto. Nel processo bis, però, le nuove perizie disposte avevano escluso che su quest’ultimo vi fossero profili genetici misti riconducibili alla studentessa americana e a quella londinese.
Caduto il primo movente, individuato dall’accusa nei vecchi attriti tra Meredith e Amanda, si era fatta strada l’ipotesi – avvalorata poi dall’esito processuale – del movente di matrice sessuale. Rudy Guede, temendo di essere denunciato dalla vittima, l’avrebbe uccisa dopo il fallito tentativo di violenza sessuale.
Controversa è stata sin dall’inizio l’analisi relativa al gancetto del reggiseno di Meredith. I primi periti, infatti, avevano ravvisato un DNA riconducibile a Raffaele Sollecito. Un dato scientifico, quest’ultimo, che avrebbe inequivocabilmente collocato quest’ultimo sulla scena del crimine. Tuttavia, nel processo bis la prova era stata invalidata in forza della contaminazione del medesimo. Repertato oltre 40 giorni dopo il primo sopralluogo della scientifica. Una versione definitivamente confermata anche dal secondo processo in Cassazione.
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