È notizia di questa mattina dell’arresto della sorella del boss Messina Denaro, Rosalia. Ma, a quanto pare, non sembra essersi ancora conclusa l’indagine per capire come, in questi 30 anni, il super latitante sia riuscito sempre a sfuggire alla cattura.
Come faceva Messina Denaro ad esser sempre informato su tutto ciò che succedeva fuori dai suoi bunker e, in particolar modo, su alcuni dispositivi usati dalle Forze dell’ordine? Una talpa forse?
Indagini complicate e serrate che stanno portando, piano piano, alla ricostruzione degli ultimi 30 anni di vita del super boss della mafia, Matteo Messina Denaro, arrestato a Palermo lo scorso 16 gennaio. Questa mattina è stata arrestata sua sorella Rosalia, complice nella latitanza del boss, ma soprattutto accusata di avergli passato alcune informazioni tramite i famosi “pizzini”.
Pizzini che non potevano, in alcun modo, rivelare l’identità del boss e che, persino, la sorella era costretta a chiamarlo in altro modo. Ma questo, non ha impedito alle forze dell’ordine di intercettarla e arrivare, poi, al suo arresto.
Nell’appartamento di vicolo San Vito, a Campobello, i Ros hanno trovato proprio uno di questi pizzini. Su di esso, il boss aveva copiato alcune informazioni passategli proprio da sua sorella (che il boss chiamava “Fragolone” nel tentativo di proteggere la sua identità). Ma i Carabinieri sono arrivati comunque a lei.
C’era un’indicazione particolare che il boss dava, ovvero quella di “guardarsi per bene in giro”. Sentiva di esser spiato, cercato dalle Forze dell’ordine stesse, anche ed attraverso l’installazione di particolari telecamere: “Quando si tratta di telecamere ci deve essere nella cassetta necessariamente un buco, è nella direzione dove vogliono guardare. Senza buco non può mai essere telecamera” – diceva.
Conosceva le ultime tecnologie ed, anche, il modo di agire delle Forze dell’ordine, che avevano piazzato telecamere e microspie per poterlo individuare. Ma come faceva ad essere a conoscenza di sistemi sofisticati come questi? Chi lo informava? “Ci sono tante cassette senza buco, che le montano nei pressi delle case dove montano microspie e telecamere, queste cassette si chiamano “cassette di rilancio del segnale” – continua il boss.
Questo sta a significare che lui era a conoscenza anche delle più recenti tecniche che venivano usate. Sapeva perfino che le telecamere montate nelle case, e le microspie, “non hanno la forza di mandare il segnale fin dove sono loro. Allora ci vogliono queste cassette di rilancio che captano il segnale dalle vicine microspie e telecamere e lo rilanciano fin dove sono loro”.
Erano delle indicazioni ben precise e ponderate, un po’ come quelle che già Provenzano scriveva per indicare ai suoi di verificare se erano posizionate delle telecamere spia dove essi stessi svolgevano i loro incontro. Se per Provenzano si ipotizzò l’esistenza di una talpa che lo informava sulla presenza di queste telecamere, allora anche lo stesso Messina Denaro ha avuto queste “protezioni”?
Sapeva, e lo abbiamo visto, dell’esistenza di telecamere e microspie e sapeva anche delle modalità con le quali queste stesse venivano posizionate. Le sue raccomandazioni erano perché sapeva del posizionamento delle stesse proprio a casa di sua sorella Rosalia.
Una cosa è certa: il biglietto sulle telecamere era anche a casa di Rosalia e lei lo aveva ben nascosto. Lo aveva trascritto e conservato. Qual era il consiglio che il boss dava inoltre? Quello di “distruggere le telecamere e lasciarle ben in vista, perché così vengono a riprendersele” – scriveva.
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