Matteo Messina Denaro ha negato di aver dato l’ordine di uccidere il piccolo Giuseppe Di Matteo. Affermando di aver solo attuato il rapimento, ma che l’omicidio è stata opera di Giovanni Brusca.
Giuseppe Di Matteo era un bambino di soli 12 anni che fu ucciso e sciolto nell’acido dalla Mafia. Questo perché il padre era diventato un collaboratore di giustizia.
L’ormai carcerato boss, Matteo Messina Denaro, ha però negato di aver compiuto quello scempio nei confronti di un bambino di sei anni, affermando di aver unicamente ordinato il rapimento.
Il superboss della Mafia Matteo Messina Denaro, durante gli interrogatori del gip Alfredo Montalto, ha ammesso di aver ordinato il rapimento del 12enne Giuseppe Di Matteo, negando tassativamente l’omicidio.
Secondo le dichiarazioni dell’uomo, ad ordinare il brutale omicidio sarebbe stato Giovanni Brusca. Anch’egli membro di Cosa Nostra, che poi è divenuto collaboratore di giustizia. Da poco è stato liberato dopo 20 anni di carcere.
Durante l’interrogatorio non sono saltate fuori altre informazioni riguardo la vastissima attività criminale del boss.
In particolare sulla questione di Rosalia Messina Denaro, la sorella de boss. Secondo gli investigatori la donna si occupava di gestire la contabilità dell’organizzazione mafiosa, durante gli anni di latitanza del fratello.
In ogni caso, nessuno dei sue ha voluto confessare, dunque il tribunale ha respinto la sua istanza di scarcerazione.
All’interno di alcuni trapizzini, trovati nell’appartamento del boss e indirizzati alla sorella, l’uomo affermava di non voler morire di tumore e che probabilmente si sarebbe ucciso in casa.
La Mafia rapì il piccolo Giuseppe Di Matteo in un maneggio di Villabate nel novembre del 1993. Il bambino aveva solo 12 anni. L’organizzazione mafiosa, gestita da alcuni dei boss più temuti di Cosa Nostra, decise di sequestrare il bambino per vendicarsi e minacciare il padre, Santino Di Matteo.
Egli infatti, aveva iniziato a collaborare con la giustizia, entrando nel regime di protezione. In particolare con tale gesto l’organizzazione criminale voleva convincere Santino Di Matteo a smettere di collaborare con le forze dell’ordine.
Il povero bambino rimase prigioniero per ben due anni. Alla fine i criminali decisero di trasferirlo in un casolare bunker all’interno delle campagne di San Giuseppe Jato, dove fu ucciso e poi sciolto nell’acido.
Il nome del piccolo è impresso nelle menti della collettività, non solo perché la sua storia rappresenta la crudeltà, la freddezza e la disumanità della Mafia, ma anche per indurre le persone a prendere le distanze da queste dinamiche. Soprattutto in territori in cui la “malavita” è profondamente radicata e dove è dunque molto difficile non entrare in contatto con realtà del genere.
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