Cinque anni di processi, sei gradi di giudizio e ben 18 magistrati impegnati in una causa che vede al centro un avvocato che ha ucciso un piccione, mirandolo e colpendolo con un proiettile sparato da un fucile ad aria compressa. I fatti risalgono al 6 giugno 2010. L’ultima chiamata utile per un ricorso in Cassazione, prima che scatti la prescrizione, è giugno 2015. Ci saranno altri sei magistrati ad occuparsi del caso?
Siamo nella zona est di Milano nel 2010: un avvocato cinquantenne spara dalla sua finestra con un fucile ad aria compressa. Mira e centra un piccione che cade al suolo nel cortile del palazzo vicino. I condomini si lamentano e decidono di chiamare i Carabinieri, denunciando che questa pratica va avanti almeno da due anni.
L’uomo viene trovato ubriaco dagli uomini dell’Arma. Scrivono un verbale in cui raccontano la testimonianza dell’uomo, che dice di avere sparato perché suo figlio si era ammalato ed era ‘entrato in coma a causa di uno di questi volatili‘.
Da allora il processo è andato avanti. L’accusa chiede che l’imputato sia condannato per l’ccisione di animali con crudeltà e getto pericoloso di cose in luogo privato di uso altrui: ottomila euro di multa. L’imputato si oppone e chiede il rito abbreviato (la prescrizione è di cinque anni). Su richiesta di un secondo pm, nel 2012 un giudice condanna l’avvocato a un mese e 20 giorni di arresto con condizionale. L’avvocato che secondo i vicini uccideva i piccioni sa bene che può ricorrere in appello, e dunque invoca il suo diritto.
I difensori puntano sul fatto che non ci sono testimoni oculari che l’abbiano visto sparare in questa precisa circostanza. Vengono citati pure i carabinieri che, secondo la difesa, non hanno provveduto a scrivere un verbale ‘per constatare lo stato del piccione‘ e per verificare che fosse morto a causa di un proiettile: ‘Se fosse davvero morto per cause naturali?‘ si chiedono dalla difesa? Per quel che riguarda l’iniziale confessione, è inutile ai fini del processo, dato che non vi era la presenza di alcun avvocato.
I giudici del processo d’appello confermano la condanna, ma l’avvocato-imputato conosce la burocrazia italiana e dunque si rivolge alla Cassazione, sperando sempre che la prescrizione metta un punto alla vicenda. Anche in Cassazione, però riceve una condanna (per l’uccisione del piccione, mentre decade il ‘getto pericoloso’), e in tre pagine vengono redatte tutte le motivazioni addotte dai magistrati.
A gennaio 2015, la Corte d’appello di Milano sezione quarta conferma di nuovo le responsabilità dell’uomo, e anche la condanna per il secondo reato. Ma ancora la storia potrebbe continuare, dal momento che il reato si prescrive nel giugno 2015, e, a disposizione dell’avvocato mira-piccioni, c’è una ulteriore richiesta di ricorso in Cassazione.