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Milano concede la cittadinanza onoraria al Dalai Lama, che replica alla comunità cinese: ‘Non cerco divisioni ma rispetto per la nostra cultura’

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Il Dalai Lama, il leader religioso del Tibet ha ricevuto la cittadinanza onoraria del capoluogo lombardo anche se la comunità cinese a Milano si è espressa fortemente contro questa decisione. Lo stesso Tenzin Gyatso ha scherzato sulle manifestazioni di protesta organizzate in città che hanno visto contrapposti i sostenitori del ‘Tibet Libero’ e quelli della Repubblica Popolare Cinese: ”A volte sembra che dove vado, creo problemi”, ha sussurrato al cardinale Angelo Scola durante l’incontro in Arcivescovado a Milano, il primo tra gli impegni istituzionali del leader spirituale in questo viaggio ‘italiano’. Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, è intervenuto commentando gli ultimi accadimenti, spiegando di non temere ripercussioni nel rapporto con la comunità cinese per quanto riguarda la consegna della cittadinanza onoraria al Dalai Lama: “Credo che Milano abbia interesse a essere accogliente rispetto alla comunità cinese e ad accogliere le proposte che dalla comunità cinese vengono. Però l’interesse è reciproco. Quindi voglio dire con precisione che, vedremo dove, ma il Dalai Lama lo incontrerò. E non temo ripercussioni“.

Ha fatto bene il sindaco Sala a conferire la cittadinanza onoraria di Milano al Dalai Lama e a rispondere con fermezza all’attacco del governo cinese“, ha invece dichiarato in una nota Fabrizio Cicchitto, commentando a sua volta la rivolta della comunità cinese che ha manifestato contro la decisione del Comune.

Proteste della comunità cineseIn una nota della comunità cinese di Milano a proposito della visita in programma venerdì e sabato a Milano, si legge.”Quella dell’attribuzione della cittadinanza onoraria al Dalai Lama è un’iniziativa che riteniamo sbagliata e che offende decine di migliaia di cittadini cino-milanesi, perché non tiene conto dell’effettiva realtà storica e attuale del rapporto tra la Cina e la regione del Tibet e presenta la figura del Dalai Lama non semplicemente come esponente religioso ma come capo di uno stato che in realtà non esiste“.

La nota prosegue: “Fuori da fantasiose visioni, la verità è che il Tibet ricongiunto alla Cina, fin dal 1951, ha sempre beneficiato, come dimostra il cosiddetto ‘Accordo dei 17 punti’ – sottoscritto dal Dalai Lama e dal Governo cinese – di piena autonomia culturale e religiosa, nonché amministrativa. Nonostante la disdetta unilaterale di quell’accordo da parte del Dalai Lama, attraverso il suo abbandono e auto-esilio in India nel 1959, probabilmente frutto dell’allora ‘guerra fredda’, quei patti – si legge ancora – hanno permesso al Tibet di diventare parte attiva e riconosciuta della Repubblica Cinese con i risultati di crescita economica, di qualità della vita di cultura e di fede, che lo hanno liberato dalla dimensione medioevale in cui era tenuto. E i ‘numeri’ attuali sono a dimostrarlo, compresi quelli delle centinaia e centinaia di monasteri ristrutturati e conservati con fondi governativi e non certo con quelli, ampi, di cui dispone il Dalai Lama e la sua organizzazione“.

A tutto ciò – continua la nota della comunità cinese di Milano – va aggiunta la forte sensazione di speculazione politica che questa iniziativa provoca, visto chi l’ha promossa e cioè una forza politica strutturalmente ostile all’integrazione e alla collaborazione multiculturale, che si rifiuta di riconoscere i valori di internazionalizzazione e di sviluppo economico e sociale che comunità, come la nostra, apportano quotidianamente alla città. Naturalmente questo conferimento, pur amareggiandoci, non scalfisce il nostro amore e attaccamento alla città, di cui ci sentiamo parte viva e protagonista. Anzi, ci sprona ulteriormente a renderci attivi, anche nello sviluppare sempre di più i legami tra la nostra patria d’origine e questa nostra patria d’adozione, anche attraverso la corretta informazione storica che aiuti ad evitare, in futuro, situazioni simili“.

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Apprezziamo perciò la scelta ponderata del sindaco – sottolinea poi la comunità cinese di Milano – di salvaguardare le sensibilità all’interno della comunità cittadina e per questo lo ringraziamo e confidiamo nel positivo accoglimento della nostra idea di intitolare una via della città a Ho Feng-Shang, lo ‘Schindler cinese’ già riconosciuto ‘Giusto tra le nazioni’, che da console a Vienna salvò migliaia di cittadini di origine ebraica dalla Shoah, facendoli fuggire a Shanghai. Proprio negli anni in cui, tra l’altro, le gerarchie religiose dell’allora Tibet accoglievano con tutti gli onori le frequenti ‘delegazioni scientifiche’ delle SS di Himmler in cerca della comune matrice razziale ‘indo-ariana’. Per questo una rappresentanza della comunità cino-milanese ha espresso la propria opinione davanti al Teatro Arcimboldi, in via dell’Innovazione 20, giovedì 20 ottobre, a partire dalle 11.30“.

Francesco Wu: ”E’ sbagliato”

Il presidente dell’Unione imprenditori Italia-Cina, Francesco Wu ha spiegato i motivi per cui si sono schierati per il no alla cittadinanza onoraria milanese al Dalai Lama: “Consideriamo negativamente l’iniziativa di concedere la cittadinanza onoraria al Dalai Lama e pur rispettando le scelte del Consiglio comunale, ovviamente, ribadiamo il nostro diritto al dissenso su queste, considerando la regione del Tibet parte integrante della Cina da secoli e consideriamo anche i toni esasperati ed estremi di una minoranza della comunità cino-milanese altrettanto negativi. La nostra missione è unire e integrare, non dividere ed esasperare“.

Sulla questione Tibet – ha aggiunto Wu, presidente dell’associazione tra le più rappresentative, soprattutto tra le seconde e terze generazioni della comunità cino-milanese – si sono dette e si dicono cose non corrispondenti alla realtà storica, così come si continua a far passare sotto una veste religiosa attività squisitamente politiche, comprese quelle locali di speculazione a fini propagandistici contro l’integrazione e la multiculturalità. Ma questo non può giustificare nessun scontro e nessuna esasperazione dal sapore nazionalista che rasenta l’offesa. Il modo di vivere e concepire i rapporti della stragrande maggioranza della comunità cino – milanese è esattamente all’opposto, improntata all’incontro, alla comprensione e alla collaborazione“.

Ci ritroviamo – ha sottolineato ancora Wu – nelle parole e nei gesti del sindaco Sala, pur continuando a considerare quella del Dalai Lama una figura più politica che religiosa, vista la sua non certo maggioritaria rappresentatività tra i fedeli buddisti, tanti dei quali sono anche nella nostra comunità insieme a tanti cristiani e intendiamo proseguire il percorso d’integrazione e comune sviluppo della nostra città. Anche attraverso iniziative dal forte valore simbolico unitario, come quella dell’intitolazione di una via cittadina a Ho Feng Shang, lo ‘Schlindler cinese’, un’iniziativa che condividiamo già con organizzazioni non della comunità cino-milanese, come quella del Giardino dei giusti. Questo per noi significa essere milanesi di nuova generazione, cioè unire le proprie origini e le proprie radici culturali alla comune ispirazione di una Milano sempre più viva, giusta e internazionale, lontani da settarismi e dalle estremizzazioni, di qualsiasi provenienza“, ha concluso il presidente dell’Unione imprenditori Italia-Cina.

LA REPLICA DEL DALAI LAMA


La risposta del premio Nobel per la pace non si è fatta attendere, e infatti il Dalai Lama Tenzin Gyatso ha dichiarato davanti a 2500 studenti presenti al teatro Arcimboldi : “Non è vero che io sto cercando l’indipendenza del Tibet, né voglio separarlo dalla Cina. Nel passato erano due regioni divise e diverse, ma oggi vedo bene che ci sia un’unica entità. I tibetani potranno avere grandi vantaggi anche economici dall’unione con la Cina. Io stimo molto il popolo Han, sono grandi lavoratori. Amo come tutti il cibo cinese (a parte quando cucinano gli insetti). Noi tibetani chiediamo solo di avere il diritto a preservare la cultura buddista, la nostra religione, la lingua e un’ecologia anche sociale della terra. Ci saranno grandi benefici reciproci se le cose andranno così“. A chi gli chiede perché non prova a tornare in Tibet, Tenzin sorride allargando le braccia: “Vorrei tanto, ma in questo momento non è possibile. La linea del governo cinese nei miei confronti è molto dura, quindi al momento non posso rientrare perché verrei arrestato. Ma spero in cambiamenti nel futuro, sono ottimista“.

Kati Irrente

Giornalista per vocazione, scrivo per il web dal 2008. Mi occupo di cronaca italiana ed estera, politica e costume. Naturopata appassionata del vivere green e della buona cucina, divido il tempo libero tra musica, cinema e fumetti d'autore.

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