A quasi vent’anni dalla pecora Dolly, la stessa tecnologia in versione evoluta è stata utilizzata per clonare un cane di razza bassotto, il primo caso del genere in Gran Bretagna: Mini Winnie, questo il nome dell’animale, è stato fortemente voluto dalla sua proprietaria, dopo aver vinto un concorso indetto dalla società coreana Sooam Biotech, che realizza da tempo ‘copie’ di animali domestici. D’altronde in questi anni diverse volte sui media è risaltata la notizia di padroni che hanno fatto clonare il proprio animale morto, perché incapaci di accettare il dolore della perdita. Ma delle conseguenze etiche di questo gesto, a tanti anni da quel fatidico 1996 in cui alcuni scienziati diedero vita alla pecora Dolly, nessuno sembra più preoccuparsene.
Allora il dibattito fu intenso e molto appassionato, tra sostenitori e scettici di questa controversa tecnologia che di fatto rende l’uomo in grado di generare vita. Lo scopo dichiarato di Rebecca Smith, ragazza 29enne di West London, era cercare prima che fosse troppo tardi il sostituto del suo bassotto Winnie, dodici anni di età e una prospettiva di vita non molto lunga, causa naturale vecchiaia. Ma non voleva un cane qualsiasi, bensì lo stesso cane, o perlomeno qualcosa di assai simile, visto che viene generato da un frammento dello stesso Dna: grazie alla vittoria di un concorso, Rebecca è riuscita a sottoporre il suo cagnolino al costoso trattamento, 60mila sterline, all’incirca i nostri 72mila euro, ed avere così il nuovo cucciolo ribattezzato senza molta fantasia Mini Winnie: ‘Non posso dirvi ancora com’è la sua personalità perché ancora devo conoscerlo, so solo che è un cagnolino bellissimo, e sarà come una piccola salsiccia che va in giro per casa mia‘.
La tecnica utilizzata dagli scienziati coreani, che nel loro curriculum vantano centinaia di altre clonazioni di animali domestici perfettamente eseguiti, è la stessa, opportunamente aggiornata dal punto di vista tecnologico, per la pecora Dolly: si tratta di prendere un frammento di Dna e impiantarlo nell’uovo di un donatore, poi in una fase successiva l’embrione così generato viene trasferito in una madre surrogata che si occuperà della nascita dell’animale clonato. I dubbi etici di uno strumento del genere ci appaiono persistenti allora come oggi, come se nel tumulto del nuovo millennio tecnocratico e iper-connesso avessimo perso la capacità di accettare che ogni vita ha una sua inevitabile fine. Tra una decina d’anni la signora Smith si affiderà nuovamente a dei genetisti per avere un ‘Mini Winnie parte 2’? La prospettiva ci pare assai inquietante.
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