Non si placa la polemica tra Moncler e Report dopo la messa in onda dell’inchiesta “Siamo tutte oche”. L’azienda ha deciso di querelare la trasmissione condotta da Milena Gabanelli: anche per questo Sabrina Giannini, la giornalista che ha firmato il servizio, si difende dalle accuse e rilancia con nuove domande sul codice etico. Secondo la Giannini, Moncler avrebbe inserito il paragrafo relativo al trattamento rispettoso degli animali solo dopo che aveva saputo dell’inchiesta in corso. Un pasticcio nelle date a cui si accompagnerebbe l’assenza di controlli reali sulla filiera delle piume.
Al centro della vicenda c’è dunque la difesa di Moncler che, il giorno successivo alla messa in onda del servizio, ha dichiarato sul profilo Facebook che i fornitori “sono obbligati a garantire il rispetto dei principi a tutela degli animali, come riportato dal codice etico”. La clausola avrebbe però delle date con coincidenti con quanto dichiarato dall’azienda.
La Giannini sottolinea infatti che il paragrafo 6, relativo al rispetto degli animali, è stato inserito a ridosso dell’inchiesta, con una modifica effettuata il 7 ottobre, quando sapeva già dell’inchiesta e “quando avevamo già concluso le interviste in Ungheria”. Lo dimostrerebbe la modifica del documento pubblicato sul sito di Moncler e approvato con delibera del consiglio di amministrazione del 24 gennaio 2014. “È stato modificato senza delibera? Non serve? Perché non viene dichiarato?”, si chiede la giornalista.
I due documenti al confronto nel video di Corriere Tv a firma di Sabrina Giannini
Ci sono poi altre domande rimaste senza risposta. La filiera di produzione delle piume può essere tracciata in modo da controllarne la provenienza, come fa il marchio Patagonia. Non essendo un passaggio obbligatorio, Moncler non si è dato un codice di tracciabilità, limitandosi a chiarire che la piuma viene acquistata in Francia, Italia e in parte in Nord America.
Per questo sarebbe opportuno capire cosa fanno i fornitori, visto che gli stessi acquistano le piume dall’Ungheria. Molina, fornitore di Moncler, presentava un quadro idilliaco delle “oche di Békés in Ungheria” che “vivono libere all’aria aperta (…) abili mani delle contadine, prelevano solo il piumino, dal petto e sotto le ali delle oche mature”, come riporta il comunicato ricordato dalla giornalista.
Solo dopo il servizio di Report, viene chiarito in un comunicato congiunto con Assopiuma che non si possono escludere episodi di “live plucking” illegali, anche se i controllo sono effettuati con costanza da veterinari certificati.
Si torna così al punto di partenza, cioè la tolleranza di un sistema che chiude un occhio sulle condizioni in cui avviene lo spiumaggio, lavoro tra l’altro sottopagato agli stessi produttori ungheresi.
“Moncler non ha voluto svelare chi siano i suoi fornitori, è stata vaga sui luoghi e sui numeri. Ha preferito minacciare un’azione legale. E mostrare come una medaglia il codice etico che garantisce il rispetto dei principi a tutela degli animali”, conclude la giornalista. Un altro capitolo di una polemica che non accenna a scemare.