Un 36enne egiziano è stato fermato a Monza con l’accusa di violenza sessuale su una 19enne all’interno di un autobus.
La studentessa universitaria ha raccontato tutto alla polizia ed è riuscita ad individuare il suo aggressore grazie ad alcune foto segnaletiche dove le sono stati mostrati diversi individui. Non ha avuto dubbi su chi fosse l’uomo e così come si era rivolta in lacrime alle forze dell’ordine per denunciare quanto accaduto, allo stesso modo ha indicato l’egiziano con gli occhi pieni di paura al ricordo di quello che presumibilmente le ha fatto all’interno di quell’autobus in pieno giorno. Il condizionale è d’obbligo perché ancora le accuse verso di lui devono essere confermate. Vediamo nei dettagli cosa è accaduto.
Torniamo a parlare di violenza sessuale all’interno dei mezzi di trasporto e lo facciamo con una vicenda che arriva da Monza. Ci aspetteremmo di stare al sicuro in un luogo così frequentato, per di più in pieno giorno, invece all’interno di un autobus una studentessa universitaria che stava rincasando è stata avvicinata da un uomo di 36 anni egiziano che l’avrebbe poi molestata.
Dopo i fatti, scesa dal messo ha vagato per un po’ spaesata fin quando non ha incrociato un’auto della polizia. Così si è avvicinata visibilmente scossa e a fatica ha raccontato tutto agli agenti fra le lacrime. La protagonista di questa brutta avventura è una 19enne di cui non è stata resa nota l’identità e i fatti sono avvenuti martedì intorno all’ora di pranzo.
La giovane è stata accompagnata al comando di zona e dopo che si è ripresa dallo spavento le sono state mostrate diverse foto segnaletiche fra cui c’era il volto dell’uomo che l’ha aggredita.
Stando alla dinamica dei fatti, il 36enne si è seduto accanto a lei sul bus rivolgendole fin da subito degli apprezzamenti volgari, poi l’ha palpeggiata fin quando è riuscita a divincolarsi e a scendere. Non è finita lì perché l’egiziano l’ha seguita anche in strada e poi si è allontanato solo quando si è accorto che la giovane si stava avvicinando ai poliziotti attirando la loro attenzione.
Ora è scattato il fermo per l’uomo, che è risultato avere piccoli trascorsi penali. Dovrà rispondere ad alcune domande e per lui ci sono accuse pesanti.
Come possiamo dire basta al fenomeno dilagante delle molestie sessuali sui mezzi del trasporto pubblico? Si tratta di un fenomeno dilagante che non tiene conto di quante persone siano presenti al momento degli abusi né del momento della giornata. Si agisce senza tener conto delle conseguenza, che purtroppo non sono solo dal punto di vista penale per l’aggressore ma anche psicologico per le vittime che vengono violate nella loro intimità.
Ci sono alcuni stratagemmi che le donne mettono in atto, ad esempio sedersi vicino ai pendolari uomini come deterrente per un possibile molestatore, camminare a passo svelto nei corridoi deserti delle stazioni della metropolitana. Meglio ancora se si riesce a farsi venire a prendere da un parente o un amico, oppure stare al telefono con un conoscente quando si rimane da sole in questi luoghi pubblici.
Purtroppo il catcalling, ovvero il malcostume di rivolgere apprezzamenti e molestie per strada alle donne, in Italia è diffusissimo ma non è reato. Parliamo invece di reato se ci riferiamo alle avances sugli autobus, come appunto i palpeggiamenti e il pedinamento successivo, dinamiche che abbiamo ritrovato anche nel caso avvenuto ieri a Monza.
Non se ne parla molto e si pensa a una prassi sociale quando si tratta questo tema, tuttavia l’articolo 660 del Codice Penale inquadra questo come reato di Molestia e disturbo alle persone, punibile con l’arresto fino a 6 mesi o con la sanzione fino a 516 euro.
Il fenomeno interessa tante giovani ma anche donne adulte, che vengono avvicinate perché viste come persone che non sanno difendersi. Subiscono osservazioni volgari, commenti, insinuazioni, insulti, malignità e contatti indesiderati che spesso poi diventano comportamenti ancora più violenti dato il rifiuto che gli aggressori ricevono dalle loro vittime, chiaramente infastidite.
Ora le donne stanno facendo fronte comune e dalle stazioni metro londinesi fino a quelle romane, spagnole e tedesche, un’ondata di reazioni capitanata da giovani donne che conoscono bene i social, li usano per denunciare. Slogan, messaggi e accordi con le forze dell’ordine e con i gestori delle linee dei trasporti pubblici, insieme all’uso di impianti di sorveglianza, App e cellulari, riescono a rintracciare e monitorare comportamenti violenti.
Le donne poi fanno un passaparola per condividere esperienze e supportarsi a vicenda, tutto questo farà al differenza?
A Roma e Milano è già attiva da qualche anno al campagna #Mezzipertutte, dedicata a questo fenomeno. Questa ha lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento per per troppo tempo è rimasto un tabù. Nessuno ne parla quindi il problema non esiste, lo sappiamo perché spesso sarà capitato a tanti di noi ma abbiamo scelto di non parlare.
La campagna invece si pone l’obiettivo ambizioso di denunciare questa piaga della società e nasce dall’esigenza di mappare un problema frequente ma troppo spesso non preso in considerazione dalle istituzioni.
Così la pensa l’ideatrice del progetto Arianna Vignetti, che ha lanciato la campagna prima nelle grandi metropoli di Milano e Roma per poi estenderla a livello nazionale a Genova e Torino. Poi sono arrivate altre città.
Viaggiare in sicurezza è un diritto e #Mezzipertutte punta a tutelare la libertà femminile di vivere la città in prima persona. Vengono proposte diverse soluzioni da chi ha vissuto la violenza in prima persona, come una migliore illuminazione o la presenza di una guardia giurata nei luoghi più isolati.
Altre soluzioni potrebbero essere poi la realizzazione di App per segnalare il livello di sicurezza dei diversi mezzi pubblici, la segnalazione di di numeri utili in caso di emergenza da applicare su stickers che poi verranno appesi alle pareti dei mezzi o nelle stazioni, ancora, si pensa anche a un Qr code per denunciare direttamente in tempo reale le molestie.
Insomma una bella idea quella di unire le forze e uscire dal silenzio perché è proprio questo che incentiva i molestatori a continuare. Speriamo che quelli di Monza, l’ultimo in ordine di tempo, venga assicurato alla giustizia e che le punizioni severe fungano finalmente da deterrente, insieme alla popolazione che ora si sta unendo per fermare tutto ciò.
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