Quando sopraggiunge la diagnosi di morte cerebrale? Quando il cervello, più precisamente il tronco encefalico, ha riportato lesioni così gravi da interrompe in maniera permanente la propria attività. La morte cerebrale si manifesta principalmente con l’assenza di respiro autonomo e di qualsiasi riflesso di base. La diagnosi di morte cerebrale, secondo la legislazione italiana, deve essere effettuata da un team di medici specialisti, in tempi prestabiliti e dopo aver condotto diversi esami specifici. La morte cerebrale non ha nulla a che vedere con il coma profondo. Vediamo nel dettaglio come si arriva alla diagnosi di morte cerebrale e le principali differenze con il coma profondo.
MORTE CEREBRALE: DIAGNOSI E DEFINIZIONE SEOCONDO LA LEGGE ITALIANA
Quando si può parlare di morte cerebrale? La diagnosi e la definizione è regolata, nella legislazione italiana, dalla Legge 29 dicembre 1993, n.578 (norme per l’accertamento e la certificazione di morte), dal Decreto 22 agosto 1994, n.582 del Ministero della Sanità (regolamento inerente alle modalità per l’accertamento e la certificazione di morte) e dal Decreto 11 aprile 2008 (G.U. n.136 del 12/06/2008, ‘Aggiornamento del decreto 22 agosto 1994, n. 582…’).
Per arrivare alla diagnosi di morte cerebrale, bisogna effettuare sul paziente un elettrocardiogramma in maniera continuativa per 20 minuti, come indicato nella legge 578/93: tale procedura riguarda le morti accertate con criteri cardiaci.
Nei soggetti che sono invece affetti da lesioni encefaliche e sono stati sottoposti a tecniche di rianimazione, la morte andrà accertata con ‘criteri encefalici’. In caso di morte cerebrale, la legge italiana prevede che una commissione, formatasi a seguito della segnalazione del responsabile di reparto alla direzione sanitaria, esamini il paziente per due volte (all’inizio e al termine), in un lasso di tempo prestabilito di sei ore (e non prima di 24 ore in caso di insulto anossico).
La commissione costituita per stabilire la morte cerebrale in un paziente deve essere così composta:
• Un medico legale, o in sua vece un medico di direzione sanitaria, o in alternativa un anatomopatologo;
• Un anestesista-rianimatore;
• Un neurofisiopatologo, oppure un neurologo o ancora un neurochirurgo esperti in elettroencefalografia.
Le prove da ripetere per due volte sono le seguenti:
• Un elettroencefalogramma della durata di 30 minuti, sul paziente non condizionato da effetti farmacologici che influiscano sullo stato di coscienza, come barbiturici o benzodiazepine;
• Prova dei riflessi del tronco dell’encefalo:
– Riflesso corneale;
– Riflesso oculo-vestibolare;
– Riflesso oculo-cefalico (riflesso degli ‘occhi di bambola’);
– Riflesso fotomotore;
– Riflesso cilio-spinale;
– Riflesso carenale: assenza di riflesso tussigeno alla stimolazione bronchiale;
• Test di apnea su paziente non sottoposto ad assunzione di farmaci depressori della respirazione (oppioidi o curari). Per dichiarare la assenza assoluta di funzionalità respiratoria autonoma, un altro dei parametri utilizzati per fare la diagnosi di morte cerebrale, la pressione di pCO2 deve andare oltre i 60 mm di Hg, e la acidità del plasma sanguigno deve salire, andando sotto al pH 7,40.
Fare una diagnosi di morte cerebrale in un bambino, può risultare molto più complicato: nei bambini di età inferiore ad un anno, o nei casi in cui non siano valutabili i riflessi del tronco, a causa di gravi traumi facciali, oppure l’EEG non sia affidabile per la presenza di artefatti non eliminabili, la legge che definisce i criteri per dichiarare la morte cerebrale, prevede che venga effettuata anche una valutazione del flusso ematico cerebrale, tramite ecografia doppler o arteriografia, o in alternativa con doppler transcranico; oppure con angioscintigrafia, o una tomografia computerizzata con mezzo di contrasto. Il flusso ematico normale è pari a 55 ml/minuto per ogni 100 g di massa cerebrale. Sotto i 15-20 ml/min si va incontro alla morte cerebrale.
I tempi di osservazione per effettuare una diagnosi di morte cerebrale sono di 6 ore, indipendentemente dall’età.
MORTE CEREBRALE E COME PROFONDO: LE DIFFERENZE
Si giunge alla dichiarazione di decesso, quando le lesioni cerebrali sono così gravi ed estese da portare ‘il cervello alla morte’. E’ questa l’esatta definizione di morte cerebrale sia dal punto di vista clinico che legale, e corrisponde necessariamente alla morte del soggetto.
La morte cerebrale è una condizione di irreversibilità e artificialità allo stesso tempo, ovvero il paziente necessita della respirazione meccanica. La diagnosi di morte cerebrale sopraggiunge, secondo la legge vigente in Italia, soltanto a seguito di un’attenta osservazione di sei ore, come spiegato poc’anzi.
Il coma profondo differisce notevolmente dalla morte cerebrale: può degenerare in morte cerebrale, ma può anche regredire portando il soggetto a una condizione di miglioramento, sino anche alla guarigione. Il cosiddetto stato vegetativo consiste nella perdita delle funzioni degli emisferi cerebrali, e quindi della coscienza e della vita di relazione, ma sovente persiste una certa autonomia del respiro e di tutte le funzioni involontarie dell’organismo.
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