Si allunga ogni giorno la lista dei morti dell’Ilva di Taranto, il polo siderurgico che negli anni è diventato un luogo di morte e malattia. Le stime ufficiali, le prime a disposizione grazie alla perizia fatta dagli epidemiologi su richiesta del gip Patrizia Todisco, parlano di almeno 90 morti all’anno dal 1998 al 2010 direttamente causate dall’inquinamento dello stabilimento. Sono cifre che non riescono a quantificare la strage che da decenni va avanti nella città pugliese: difficile, se non impossibile legare un singolo decesso all’aria e ai veleni emessi dall’Ilva, ad ammalarsi e a morire non sono solo ex operai e impiegati ma anche i loro familiari, i figli, i nipoti, semplici vicini di casa. Alcune vittime sono diventate un simbolo di questo dramma: è il caso del piccolo Lorenzo, 5 anni.
Il piccolo, nato a Taranto e diventato emblema della lotta all’Ilva, si è spento a causa del tumore al cervello che gli fu diagnosticato a soli tre mesi di vita. Ad annunciarlo il padre Mauro, dal suo profilo Facebook. “Cari amici/e volevo avvisarvi che Lorenzino ci ha fatto uno scherzetto…ha voluto diventare un angioletto”, le parole scelte dall’uomo, 36 anni, che non aveva mai abbandonato il figlio, seguendolo nel suo lungo calvario tra 25 operazioni, chemioterapie e il trasferimento a Firenze presso la Fondazione Ospedale Pediatrico Meyer, uno dei migliori per la neurochirurgia nel Paese. Mauro nel 2012 partecipò a una manifestazione contro l’Ilva, mostrando un cartellone con la foto del piccolo e la scritta “Mio figlio tre anni… cancro!!! Quanti ancora?”; allora aveva trovato il coraggio di raccontare la loro storia, diventando un caso simbolo delle tante vittime del polo della morte di Taranto.
All’epoca della manifestazione, Mauro salì sul palco, svelando il dramma che aveva cambiato la loro vita. “Nessuno è in grado di dimostrare il nesso di causalità tra il tumore di Lorenzo e i fumi dell’Ilva, ma la mia famiglia lavorava lì e i miei nonni, mia mamma sono morti di tumore”, ha raccontato davanti alle persone accorse in piazza. “Mio suocero anche era all’Ilva e mia moglie, durante la gravidanza, lavorava nel quartiere Tamburi. E tutti sappiamo che da quei camini non esce acqua di colonia, ma gas in grado di modificare il Dna e provocare errori genetici come quello di mio figlio”. La famiglia di Mauro e della moglie hanno già pagato un tributo di morte altissimo, fino al più tremendo, quello del piccolo Lorenzo. “È diritto di ogni bambino nato sano, poter crescere in salute senza essere avvelenati da un impianto industriale fuori controllo”, urlò da quel palco. Lorenzo è l’ultima vittima in ordine di tempo dei veleni dell’Ilva, uno dei poli più inquinati del nostro Paese, che ha messo in ginocchio interi quartieri della città dove le morti per tumori e malattie legate all’amianto e alle polveri sottili sono in aumento da decenni.
Tutti i morti dell’Ilva
Se è quasi impossibile collegare un singolo decesso all’Ilva, a livello di grandi numeri la situazione cambia. Oggi esiste un primo studio su tutti i morti accertati del polo siderurgico, arrivato grazie alla perizia richiesta nel gennaio 2012 dal gip Patrizia Todisco a tre epidemiologi tre epidemiologi di fama, i professori Annibale Biggeri, Maria Triassi e Francesco Forastiere.
I dati emessi dalla maxi perizia sono sconcertati: le emissioni dello stabilimento causano malattie e almeno 90 morti l’anno tra la popolazione di Taranto.
Secondo gli esperti, tra il 1998 e il 2010 386 persone sono morte per colpa delle emissioni, 174 negli ultimi sette anni per i livelli altissimi del Pm 10. I bambini fino all’età di 14 anni continuano ad ammalarsi più di quanto registrato altrove, mentre operai e impiegati dello stabilimento sono morti per patologie tumorali e neurologiche legate a quello che hanno respirato per anni.
Per la prima volta i medici hanno stabilito una connessione tra i decessi e le malattie tumorali derivanti dall’inquinamento dell’Ilva. Sono dati che non descrivono tutta la realtà della situazione, ma che provano la colpevolezza di chi per decenni ha dimenticato il polo siderurgico e la salute dei tarantini.
La perizia, per esempio, indica i quartieri Borgo e Tamburi, quelli più vicini allo stabilimento, come i luoghi con la più alta percentuale di decessi, insieme con il Paolo VI, la zona costruita attorno all’Ilva negli anni Sessanta per accogliere gli operai arrivati dalle campagne e dalle zone limitrofe. Quello che doveva essere l’inizio di una nuova vita, si è trasformato in un incubo per le famiglie: al Paolo VI il tasso di mortalità è del 27% in più rispetto alle stime basate sui dati messi a disposizione dell’Organizzazione mondiale della Sanità. L’incremento nella popolazione maschile è addirittura del 42% per i tumori maligni e del 64% per le malattie dell’apparato respiratorio
Al Tamburi, quartiere dove viveva la madre di Lorenzo, le donne si ammalano più del 46% di malattie ischemiche del cuore e del 24% di malattie cardiache.
Sono invece novantotto i morti tra gli operai e impiegati accertati per inquinamento in dieci anni. La perizia indica che gli operai che hanno lavorato all’Ilva tra gli anni Settanta e Novanta, hanno registrato “un eccesso di mortalità per patologia tumorale (+11%) in particolare per tumore dello stomaco (+107%), della pleura (+71%), della prostata (+50%) e della vescica (+69%). Tra le malattie non tumorali sono risultate in eccesso le malattie neurologiche (+64%) e quelle cardiache (+14%)“.
Tra le vittime moltissimi anche gli impiegati che, scrivono i periti “hanno presentato eccessi di mortalità per tumore della pleura (+153%) e dell’encefalo (+111%)”. Numeri che non lasciano aditi a dubbi. “Ci troviamo di fronte a un effetto statisticamente significativo per i ricoveri ospedalieri per cause respiratorie e un effetto al limite della significatività statistica per i tumori in età pediatrica”, hanno concluso i medici.
Una strage che continua ancora oggi e miete vittime innocenti, mentre una città è condannata a scegliere tra il diritto alla vita e quello al lavoro, piangendo ogni giorni i suoi morti.