[Credit Photo: Animal Amnesty via Facebook]
È morto Arturo, un esemplare di orso polare divenuto nel tempo un simbolo della lotta animalista: in questo 2016 che si sta caratterizzando non soltanto per la scomparsa di celebri personalità del mondo della cultura e dello spettacolo o per le infinite stragi dei terroristi, ma anche per il moltiplicarsi di casi di decessi nel mondo animale che a vario titolo finiscono in prima pagina, va aggiunto al triste elenco anche la morte di Arturo, un esemplare polare ribattezzato ‘l’orso più triste al mondo’ da attivisti e animalisti che per anni hanno chiesto il suo trasferimento in una struttura più adeguata rispetto allo zoo Mendoza in Argentina, dove ha vissuto oltre 20 dei suoi 31 anni di età complessivi. Una battaglia perduta, che rende questa scomparsa al pari della morte del giaguaro Juma e degli altri esemplari abbattuti per la dabbenaggine dell’uomo, un’altra triste testimonianza di questo annus horribilis.
Il perché di questo soprannome Arturo se lo è ‘guadagnato sul campo’, per così dire: per oltre 20 anni ha vissuto in una gabbia troppo piccola per la sue enorme mole, soffrendo moltissimo il caldo. Lui che per indole naturale si troverebbe a suo agio tra i ghiacci del Polo Nord è stato costretto per gran parte della sua esistenza a patire temperature che raggiungevano anche i 40 gradi centigradi, e per questo motivo molte associazioni animaliste, che il 4 luglio 2016 hanno riportato commosse la notizia della sua scomparsa attraverso i social network ed altri canali informativi, si erano assunte l’onere di liberare Arturo da una vita di maltrattamenti: per questo orso polare si erano mobilitate persone da tutto il mondo, affinché venisse autorizzato perlomeno il trasferimento in un’altra struttura in Canada, dove avrebbe trovato un clima più adatto. Ma il direttore dello zoo di Mendoza si è opposto, ed Arturo ha terminato i suoi giorni senza mai poter riassaporare gli amati ghiacci dell’emisfero nord.
C’è un’ulteriore ragione per cui Arturo è diventato l’orso polare più triste al mondo: nel 2012 è rimasto solo dopo il decesso della sua compagna Pelusa, vivendo gli ultimi anni della sua vita in completa solitudine. Non fossero bastati il gran caldo e gli spazi angusti, il plantigrade ha dovuto sopportare la perdita dell’unico esemplare con cui aveva stabilito una relazione affettiva, ed alla fine tutta questa sofferenza ha inciso sulla sua salute: benché tendenzialmente gli orsi vivano effettivamente fra i 20 e i 30 anni, in cattività possono vivere molto più a lungo, arrivando anche a 50 anni in alcuni casi. Dunque Arturo avrebbe potuto continuare a vivere per parecchi anni ancora, se magari ci si fosse preoccupati di curarlo e di tenerlo nelle migliori condizioni possibili, anche all’interno di uno zoo: mai come in questo caso possiamo dire che la morte è stata una liberazione. L’orso più triste al mondo ha versato le sue ultime lacrime, e con lui tutti quelli che, vip o persone comuni, hanno fatto di tutto per regalargli un’esistenza migliore di quella che ha dovuto subire.