Cosimo Di Lauro, il mafioso, primogenito del leggendario patriarca di uno dei clan più potenti di Napoli, è morto lunedì in un carcere milanese, in circostanze ancora da chiarire.
Cosimo Di Lauro (Napoli, 1973-Opera, 2022) non è mai stato il più intelligente della famiglia. Né il più dotato per gli affari o per le relazioni sociali. Senza grande attitudine a ciò che la carica richiedeva e con troppi slanci di vanità.
Cosimo di Lauro: ‘F1’ per il padre
Volle dimostrare di poter essere il principe di una delle famiglie più rispettate della camorra napoletana, e finì per provocarne l’implosione. Condannato a due ergastoli per vari omicidi e appartenente ad un’associazione mafiosa, rinchiuso in un carcere milanese sotto il regime di isolamento 41 Bis -applicato ai mafiosi italiani-, è morto lunedì all’età di 49 anni nella sua cella in circostanze non ancora determinate.
“È morto oggi, solo, disperato, letteralmente pazzo in una prigione. Avrebbe potuto provare a riscattarsi ma non voleva pentirsi. Non voleva essere il primo in famiglia a farlo. Tutti lo hanno tradito, lui ha tradito tutto”, ha pubblicato sui suoi social lo scrittore Roberto Saviano. Il dramma di Cosimo Di Lauro, appunto, è che il suo merito più grande è stato quello di diventare fonte di ispirazione per il protagonista della serie Gomorra, tratta dall’omonimo libro di Saviano.
Ad immagine e somiglianza di quel turbolento che insisteva per essere soprannominato Designer Don (per la sua predilezione per gli abiti dei grandi stilisti), Saviano creò un giovane viziato, impulsivo e crudele che ereditò uno dei più grandi imperi criminali della storia. Ma anche nel prodotto televisivo, l’altezza del personaggio e la sua capacità di gestire l’ambiente turbolento era maggiore che nella realtà.
Cosimo è sempre vissuto all’ombra di alcuni dei suoi fratellini e, soprattutto, del padre, Paolo Di Lauro: il leggendario patriarca del clan che forgiò la sua leggenda criminale nelle periferie napoletane. Da lui ricevette un impero di sangue e ne causò l’implosione con una sanguinosa guerra che trasformò in nemici coloro che fino ad allora erano stati alleati.
Saviano, uno degli intellettuali che più ha decifrato il personaggio e il mondo a cui apparteneva, consegna alcune chiavi per capire il personaggio. “Cosimo era una figura incredibile, nel peggiore dei casi. L’uomo che voleva mostrare a suo padre e a coloro che lo circondavano che valeva, che contava. E non appena ne ha avuto la possibilità, ha fatto saltare in aria le regole perfette che il padre aveva ideato: una confederazione di attaccabrighe libere e intraprendenti.
L’ombra del padre
Ma Cosimo li ha trasformati in impiegati. Quando ho pensato a Gennaro Savastano ho pensato a lui, ma anche a uno dei suoi fratelli. La scena, ad esempio, in cui Genny controlla il consiglio comunale di una città è basata sul fratello Domenico”, sottolinea. “È un ragazzo che ha cercato tutta la vita l’approvazione del padre e per entrare nel cuore della madre. Ma non l’ha capito. E per questo ha usato la violenza più spietata per raggiungere il potere”, insiste.
Impossibile capire Cosimo, un ragazzo vanitoso con i capelli lunghi e gli abiti sempre neri, senza parlare del padre. Paolo Di Lauro, figlio adottivo di un’umile famiglia di Secondigliano, stagionale come venditore ambulante, iniziò a lavorare agli ordini di Aniello Lamonica, storico capo della zona negli anni Ottanta, noto anche come Il Macellaio, per la sua consuetudine di strappare il cuore alle sue vittime. Estorsione, percosse, contrabbando di sigarette.
Ma Di Lauro aveva fame e, come di solito accade in questi casi, finì per assassinare il suo protettore, divenne indipendente e capì meglio di chiunque altro dove stava il futuro di Scampia, il luogo dove erano stati costruiti alcuni enormi edifici di protezione, che finirono per essere convertiti in uno dei più grandi supermercati di droga d’Europa.
Il patriarca del clan, un eremita che durante il suo lungo regno a malapena abbandonò la propria casa, non gli impedì di essere sempre percepito come un benefattore. Il cielo, sostenevano i suoi affiliati, lo ringraziò con 10 figli. Nei libri contabili che la polizia gli ha sequestrato, appaiono come F1, F2, F3… (ad esempio, figlio) in freddo ordine cronologico. Cosimo, in quanto primogenito, è sempre stato conosciuto in sintesi come F1.
La disgrazia in cui piombò quella zona
Il milionario, che viveva su una barca nel porto di Napoli dopo la sua fuga, aveva rivoluzionato l’attività. Ha rafforzato i legami con i produttori colombiani, riuscendo ad abbassare il prezzo della cocaina all’origine. Liquida gli intermediari e apre il mercato, competendo faccia a faccia con le altre grandi organizzazioni europee. Il clan distribuito in tutta Italia e nel quartiere —le iconiche candele di Scampia— è riuscito a creare più di 20 postazioni fisse di spaccio di droga.
Il momento di Cosimo è arrivato dopo la fuga del padre. Come primogenito ha preso le redini del clan, anche se per breve tempo. Impose nuove regole e assassinò i senatori dell’organizzazione per sostituirli con giovani luogotenenti di cui si fidava di più.
Il suo movimento, senza l’apparente consenso del padre, provocò la faida che nel 2004 e 2005 contrapponeva il clan Di Lauro a un gruppo di dissidenti guidati da Raffaele Amato, noto come I Secessionisti o Gli spagnoli —Amato si occupava dei collegamenti con la Spagna — che fece più di cento morti per le strade di Napoli e dintorni.
Ciò indebolì terribilmente l’organizzazione e nel 2005 il patriarca, senza che la polizia avesse mai potuto sentire la sua voce in nessuna delle centinaia di chiamate intercettate, finì condannato a tre ergastoli in isolamento. Anche Cosimo fu arrestato poco dopo.
Marco, F4 nel gergo contabile del padre, finì per essere il capo dell’organizzazione quasi per eliminazione. Ma è stato arrestato anche nel 2019. Il suo patrimonio urbano e sociale è ancora visibile a Secondigliano, quartiere alla periferia nord di Napoli che ha lottato negli ultimi anni per rimarginare ferite e sfuggire allo stigma causato dal regno dei Di Lauro.