Morto dopo appena sette giorni di vita, il suo corpo trafugato dalla bara chissà da chi e chissà perché. Sua mamma però non ci sta e rivolge un appello: “L’unica cosa che voglio, dopo 42 anni, è un funerale cristiano e dignitoso per mio figlio: chiedo giustizia, qualcuno deve ridarmi il suo corpicino”. La scozzese Lydia Reid oggi ha 69 anni, il piccolo morì nel luglio del 1975. La storia viene raccontata dal tabloid britannico ‘Mirror’.
In quel 1975, Lydia aveva 27 anni. Suo figlio, Gary, morì a una sola settimana di vita all’ospedale pediatrico di Edimburgo. Complicazioni dovute al parto. La mamma, già provata da questo dolore e convinta di aver tumulato il neonato dopo il funerale, cominciò ad avere dei dubbi in seguito a uno scandalo di qualche tempo fa: il servizio sanitario nazionale britannico fu costretto ad ammettere che, in alcuni ospedali scozzesi, tra gli anni ’60 e ’70, erano stati trafugati organi e tessuti dai corpi di oltre 6mila pazienti, tra cui molti bambini. A favore della scienza, per fare ricerca, ma in violazione delle norme vigenti.
Insomma, chi aveva seppellito Lydia? Dopo una lunga battaglia legale, l’estate scorsa la signora scozzese ha ottenuto il permesso di di far riesumare la salma del piccolo. A sorpresa, però, nella bara, c’erano soltanto i vestiti del bimbo, una croce e una targhetta con il nome. Dei resti umani, nessuna traccia. “Nel mio caso, hanno rubato l’intero corpo. E’ così evidente, ma la polizia non ha ancora indagato su nulla”. Si sfoga, giustamente, Lydia Reid: “Mi hanno chiesto di consegnare ciò che resta dentro quella bara, ma io voglio il corpo di mio figlio. Dicono che nessuno è imputabile dal momento che le persone che lavoravano in quell’obitorio, ormai, sono tutte morte”.
Niente corpo, niente colpevoli. La mamma coraggiosa non ci sta, anche se al momento sembra lottare da sola contro i mulini a vento. Gli esami di un medico legale hanno confermato che mancano tracce di resti umani: né ossa, né parti del corpo decomposte. Di Gary non c’è nulla. La polizia ha chiesto alla donna il contenuto della bara per fare alcuni esami e accertare che il dna presente sia proprio del piccolo. Lydia, però, non si fida. Ha chiesto di potersi affidare a una compagnia diversa da quella utilizzata dalla polizia. “Loro mi garantiscono di restituirmi quei resti dopo le analisi, la polizia invece mi ha negato questo diritto legale”.
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