Il regista italoamericano Michael Cimino è morto il 2 luglio 2016 all’età di 77 anni. Divenuto un mito dopo la vittoria di ben cinque Oscar (e nove nomination) per il film cult con Robert de Niro, ‘Il Cacciatore‘, non riuscì però a bissare lo straordinario successo di quella pellicola, la sua seconda dopo ‘Una calibro 20 per lo specialista‘ (Thunderbolt and Lightfoot), film del 1973 con Clint Eastwood. Il più visionario e anarchico dei registi del suo tempo, non fu compreso fino in fondo dal mondo di Hollywood che non gli ha mai perdonato di essere ‘troppo fuori’ dagli schemi. L’ultimo omaggio gli era stato dato durante un festival europeo, il Pardo d’onore a Locarno nel 2015.
Nato a New York nel 1939 da una famiglia borghese di origini italiane – i nonni si erano trasferiti negli Stati Uniti alla fine del 1800 dall’Italia – aveva studiato a Yale e solo negli anni ’70 cominciò la carriera da regista. Si fece conoscere come sceneggiatore (2002: la seconda odissea, regia di Douglas Trumbull – Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan, regia di Ted Post), ma è dopo il debutto con il film ‘Una calibro 20 per lo specialista’ (voluto dietro la macchina da presa da Clint Eastwood, insieme al quale ha scritto la sceneggiatura), gira e sceneggia ‘Il cacciatore’, che critica e pubblica definiscono capolavoro. Vince infatti 5 Oscar (su 9 nomination ricevute), compreso quello per il miglior film e la miglior regia.
La sua carriera da regista però non decolla, o meglio, si schianta nel tentativo di riformare Hollywood con la sua irregolarità e genialità, non è uno che scende a compromessi e finisce con il risultare indigesto sia alle case produttrici, che non gli perdonano un paio di ‘flop’ consecutivi (la United Artists fallì proprio dopo la pubblicazione de I Cancelli del cielo nel 1980), sia a una parte di pubblico. Dal 1974 al 1996, Cimino infatti gira solo sette film, dato che le sue produzioni sono caratterizzate da trame molto complesse e budget troppo alti che lievitano in fase di lavorazione. Nessuno gli dà più fiducia e viene ”dimenticato”. L’allucinato road movie/viaggio della coscienza di ”Verso il sole” con Woody Harrelson – presentato nel 1996 al festival di Cannes – rimane il suo testamento cinematografico.
Nell’agosto 2015 avviene la premiazione al Festival di Locarno, dove gli viene consegnato il Pardo d’oro alla carriera. In quell’occasione ai giornalisti disse: ”Non ho idea di come abbia imparato, non ho fatto alcuna scuola, non conosco i classici come il mio amico Quentin Tarantino che conosce ogni film e cita ogni battuta”, e poi ha voluto invitare i giovani a combattere e ribellarsi alla guerra: ”La tragedia non è cambiata, prima era il Vietnam oggi è il Medioriente, sono sempre i vecchi coi capelli bianchi che fanno questa scelta folle e i giovani ne pagano le conseguenze”.
E ai critici che lo hanno dipinto in tutti i modi, ha lasciato un messaggio chiaro: ”Mi hanno chiamato in ogni modo: omofobo, fascista, marxista, razzista. Non me ne frega niente. Non ho alcuna reazione, non leggo le recensioni, né le migliori né le peggiori. Potete chiamarmi come volete”.
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