Bernardo Provenzano è morto e nella tomba si porta segreti e misteri. Dalla latitanza alla cattura, dalla trattativa Stato-Mafia all’arresto di Totò Riina. “Porta con sé tanti misteri, pezzi di verità che abbiamo il dovere di continuare a cercare. Il bisogno di verità e giustizia non muore mai”, ha affermato il presidente del Senato Pietro Grasso dopo la notizia della morte del boss di Cosa Nostra. Lo stesso Grasso è coinvolto in uno dei segreti.
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Secondo quanto raccontato nel 2012 alla trasmissione di Michele Santoro “Servizio Pubblico”, il presunto messaggero di “Bìnnu ‘u tratturi” aveva provato a concordare con lo Stato la sua cattura. L’intermediario ha svelato al giornalista Sandro Ruotolo che Provenzano ha trascorso gli ultimi anni della lunga latitanza (43 anni) in un casolare del Lazio, vicino al confine con l’Umbria. Al messaggero il boss diede l’incarico di contattare i magistrati perché voleva costituirsi: offriva la resa in cambio del silenzio assoluto dell’arresto per un mese, la detenzione in un carcere nel Nord Italia e 2 milioni da depositare in un paradiso fiscale. Soldi probabilmente destinati a un fantomatico terzo uomo. I contatti sarebbero stati avviati con il procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Vigna e con il successore Pietro Grasso. Il presunto messaggero non fu però considerato credibile dai magistrati, da Grasso in particolare. Eppure, pochi mesi dopo il presunto contatto, Provenzano fu arrestato. Il boss, l’11 aprile 2006, venne trovato in un casolare nei pressi della sua Corleone tra Bibbia e pizzini.
Provenzano poteva essere catturato due anni prima?
È stato sempre il presunto messaggero, un ex infiltrato della Guardia di Finanza, a rivelare altri due particolari. Il primo è che c’era l’accordo per far catturare Provenzano già nel 2004: “Provenzano doveva essere preso prima, c’era un accordo che è saltato”. I 2 milioni erano pronti, ma poi “sono stati deviati da un’altra parte, perché c’era la necessità di salvare quattro vite umane”. Probabilmente l’uomo (di cui Sandro Ruotolo non ha rivelato l’identità) si riferiva ai quattro contractors italiani rapiti in Iraq. Il secondo particolare è sul giorno della vera cattura: il boss sarebbe stato catturato prima dell’11 aprile 2006, giorno in cui la notizia era trapelata. Per quale motivo? “Hanno catturato Provenzano prima del voto, ma hanno detto in televisione che era stato catturato dopo il voto, perché è una questione squisitamente politica”, le parole dell’intermediario. Il riferimento è alle elezioni politiche del 10 aprile 2006, vinte da Romano Prodi.
Il tradimento a Totò Riina
Un altro mistero è il presunto tradimento di Provenzano ai danni del suo (ex) amico Totò Riina. Il “capo dei capi” fu arrestato grazie alla soffiata di Provenzano. Fu questi a rivelare ai carabinieri il nascondiglio, con tanto di mappe. Lo rivelò anni fa ai pm Massimo Ciancimino, il figlio del sindaco di Palermo Vito. Perché questo tradimento? Per “salvare” Cosa Nostra. Come abbiamo spiegato nel pezzo sulla mafia più potente, la criminalità organizzata meno rumore fa, meno sangue sparge, più mostra potenza perché può operare nel silenzio. Era quello che con Riina al comando non stava succedendo: la sua strategia stragista stava mandando in malora Cosa Nostra. Troppe attenzioni da parte dei media e dello Stato. E allora Provenzano avrebbe deciso di salvarla “sacrificando” Riina, prendendo le redini dell’organizzazione per riportarla nell’ombra. Allo status di società segreta, che c’era ma si vedeva poco, che riusciva nel silenzio e nella compiacenza a infiltrarsi nello Stato e a fare affari. Provenzano, vendendo Riina, avrebbe inoltre avuto in cambio una sorta di protezione. Stiamo parlando di un uomo che è rimasto latitante per 43 anni e che è riuscito a farsi operare alla prostata in segreto, con identità falsa, in una clinica francese.
La trattativa Stato-mafia
Accenniamo infine alla trattativa Stato-mafia. A portarla avanti sarebbero stati Provenzano e Riina, i quali proposero un accordo ad alcuni apparati dello Stato per far cessare le stragi di mafia. Tra le richieste dei boss, organizzate nel cosiddetto “papello”, l’abolizione del carcere duro per i mafiosi (il 41 bis); la revisione della sentenza del maxiprocesso di Palermo, con cui centinaia di mafiosi erano stati condannati; arresti domiciliari obbligatori dopo i 70 anni di età; chiusura delle super-carceri; detenzione vicino alle case dei familiari e nessuna censura sulla posta scambiata con loro; defiscalizzazione della benzina per i siciliani. Ancora oggi non si conoscono tutte le persone coinvolte nella trattativa. Probabilmente non si conosceranno mai perché in troppi hanno interesse a insabbiare la verità. E sicuramente molti nomi sono tra i segreti che Provenzano si è portato nella tomba. Così come tante relazioni tra mafiosi e uomini dello Stato, che hanno consentito e consentono tuttora alla mafia di fare affari.
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