Continuano gli scontri armati tra truppe russe ed ucraine nelle regioni ad Est del paese guidato da Zelensky: le bombe di Mosca cadono a ritmo incessante mentre il Cremlino minaccia contromisure verso le intromissioni di Stati Uniti ed Occidente.
L’offensiva dei plotoni ex sovietici è concentrata ormai da alcuni giorni nella regione di Donetsk, dove i russi stanno tentando la presa delle ultime città che gli permetterebbero il controllo dell’intero Donbass.
Dopo i primi disastrosi tentativi di rovesciare il governo Zelensky e piegare l’intera Ucraina al proprio volere, ora Putin ha ricollocato le sue truppe nella zona orientale della nazione con capitale Kiev al fine di impossessarsi del teorico obiettivo ad origine della guerra: il Donbass.
Dopo aver di fatto conquistato l’oblast di Luhans’k, la cui presa è stata sancita dalla caduta degli insediamenti gemelli di Severodonetsk e Lysychansk, ora è il territorio giurisdizionalmente sotto Donetsk ad essere oggetto degli avvenimenti bellici.
La città di Bakhmut è attualmente la più interessata dai missili moscoviti, i quali, secondo il rapporto quotidiano dello Stato Maggiore ucraino, stanno cadendo senza sosta su tutto il terreno limitrofo.
L’anelito russo è la sottomissione innanzitutto delle zone maggiormente russofone dell’Ucraina, questo motiva la ripresa delle offensive anche nelle regioni nord-orientali di Sumy e Kharkiv, le quali erano state inizialmente e provvisoriamente poste sotto il controllo del Cremlino all’inizio dell’operazione speciale per poi essere abbandonate dalla rotta delle formazioni russe verso Est.
Ora Putin, che non abbandona l’idea (forse ormai velleitaria) di direzionarsi di nuovo fino a Kiev, cerca di strappare più suolo possibile a Zelensky con una pioggia di siluri che interessano tutti i settori di confine tra Federazione Russa e territorio ucraino.
Se il fuoco dei cannoni è il modo che Putin ha scelto per relazionarsi con Zelensky; minacce, paura e ricatti sono le armi adoperate dal dittatore pietroburghese nei confronti dei paesi occidentali schierati a supporto della nazione aggredita.
In tale logica si inserisce l’intervento della portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, la quale prospetta il rischio di guerra nucleare tra la propria nazione e gli Stati Uniti.
Questi ultimi infatti sarebbero i veri responsabili della escalation della situazione ucraina attraverso i loro interventi da guerra per procura ed ibrida. Così, le continue intromissioni potrebbero sprofondare in un conflitto armato diretto tra U.S.A. e Mosca, cosa che comporterebbe l’insito rischio di un confronto nucleare.
Sembra ormai superfluo contestare le distorsioni di tale resoconto: le indecisioni ed i rifornimenti bellici, spesso in ritardo sia sui tempi sia sul tipo di armi più atte a fronteggiare il nemico, lasciano intendere una totale impreparazione americana ad un conflitto di ampia portata come quello scatenato da Putin, questi sì il vero fautore dell’odierna tensione.
A riprova della volontà di Mosca, e non di Washington, di procedere sulla via delle armi vi è la dichiarazione del portavoce del Cremlino Peskov il quale nega ogni possibilità di riprendere i negoziati con Kiev per un cessate il fuoco.
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