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Una mostra di Alberto Giacometti, a Milano dall’8 ottobre fino all’1 febbraio 2015, rientra tra gli appuntamenti culturali che accompagnano i preparativi in vista del prossimo Expo 2015. Dopo Klimt, Chagall, Van Gogh, Leonardo e Segantini – tanto per citarne alcuni – la metropoli lombarda celebra un altro grande artista, in occasione dell’evento più atteso degli ultimi anni. L’esposizione, a cura di Catherine Grenier, direttore e capo curatore della Fondazione ‘Alberto e Annette Giacometti’ di Parigi, ospiterà, alla Galleria d’Arte Moderna della città, più di sessanta opere, tra sculture, dipinti e disegni, che raccontano il ruolo fondamentale che Alberto Giacometti ha avuto nello sviluppo della scultura internazionale del secolo scorso.
La mostra, attraverso un percorso cronologico suddiviso in cinque sezioni – costituite, a loro volta, in diversi gruppi tematici – ripercorre tutta la carriera artistica di Giacometti, dagli esordi in Svizzera, influenzati dal Surrealismo e dal Post-cubismo, alla maturità trascorsa soprattutto nell’atelier di rue Hippolyte-Maindron a Parigi, quando il filo conduttore della sua arte diventa la ricerca continua di un qualcosa che sfugge. Il tutto raccontato attraverso le sculture, i dipinti e i disegni che il maestro realizzò tra gli anni Venti e gli anni Sessanta e che illustrano tutta l’evoluzione che ebbe la sua carriera artistica.
Alberto Giacometti, infatti, si è confrontato, durante tutta la sua esperienza artistica, con le principali avanguardie del suo tempo, maturando un linguaggio personalissimo che lo rende ancora oggi uno degli scultori più apprezzati e quotati a livello internazionale.
Nato in Svizzera nel 1901, fu avviato dal padre, apprezzato pittore postimpressionista, alla carriera artistica che continuò a Parigi, entrando in contatto con l’ambiente culturale in cui orbitavano Modigliani, Chagall, Matisse e Picasso: le prime opere di Giacometti, infatti, risentono molto dell’influenza dell’esperienza cubista, della scultura africana e di quella oceanica.
Negli anni Trenta entra in contatto con il gruppo dei surrealisti di cui facevano parte artisti come Mirò, Magritte e Dalì; ma è con il ritorno in Svizzera, a metà degli anni Quaranta che Giacometti elabora il suo personalissimo – ed oltremodo originale – linguaggio artistico, che declina soprattutto nei ritratti del fratello Diego e della madre e nelle figure umane esilissime, diventate il simbolo distintivo di tutta la sua arte. Molti hanno ricollegato lo stile inequivocabile di Giacometti – in cui la rappresentazione umana è ridotta davvero all’essenziale – ai maggiori movimenti filosofici del Novecento, poiché lo svuotamento dei corpi rappresentati dall’artista svizzero è stato interpretato come la crisi esistenziale dell’uomo moderno nel corso del XX secolo.