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Il movimento body positive ha un lato B che lascia a desiderare

[didascalia fornitore=”altro”]Photo by Suesig/Shutterstock.com[/didascalia]

Negli ultimi anni c’è stato un vero e proprio susseguirsi di gruppi social, manifestazioni, hashtag e movimenti nati per promuovere diritti e uguaglianza, dal #Blacklivesmatters americano, al chiacchieratissimo #Metoo, senza contare quelli politici come #JeSuisCharlie, uno dei primi ad aver coinvolto il mondo intero, o propagandistici come il #MAGA di Trump.
In questo proliferare di movimenti ha trovato un nuovo spazio anche il vecchio Body Positive Movement. Questa filosofia, nata per opporsi agli irraggiungibili standard estetici imposti dalla società occidentale, esalta la diversità del corpo e promuove il diritto di sentirsi belle anche se non si indossa una taglia 40 e non si sfoggia il fisico statuario degli Angeli di Victoria’s Secret.
Un messaggio del tutto condivisibile, eppure questo movimento, tutto orientato all’accettazione del corpo, ha un lato B che lascia un po’ a desiderare.

Una bellezza preconfezionata

Ormai lo sappiamo, da case di moda, spot televisivi e influencer dobbiamo aspettarci esclusivamente corpi perfetti: donne e uomini bellissimi, fashion blogger che sembrano modelle, suggeriscono un’ideale di bellezza a cui, più o meno inconsciamente, tutti facciamo riferimento.
Sappiamo anche che adeguarsi a questo standard è pressoché impossibile e che nella vita reale non c’è posto per le forme perfette ottenute grazie a luci impeccabili, makeup e pose studiate. E anche se sappiamo che nessuno può uscirne vittorioso, il confronto tra il proprio corpo e questa bellezza preconfezionata continua, e il disagio che genera in molti casi si trasforma in disturbi alimentari e psicologici.
Sono sempre di più le influencer che si fanno portavoce di uno stile di vita #bodypositive mostrando le loro piccole imperfezioni, un messaggio che anche alcuni brand famosi han fatto proprio investendo in campagne pubblicitarie in cui, al posto delle classiche modelle, compaiono donne comuni.
Il tentativo di reagire allo status quo è encomiabile, ma siamo sicuri che stia funzionando?

Bodyshaming

[didascalia fornitore=”altro”]Photo by Tero Vesalainen/Shutterstock.com[/didascalia]

Il Body Positive Movement, pur avendo anni di vita alle spalle, oggi grazie ai social sembra più attivo che mai, eppure accanto all’hashtag #bodypositive si è imposto un altro termine di cui tutti avremmo fatto volentieri a meno: bodyshaming.
Se siete tra i pochi fortunati a non esserne mai stati vittime, o siete eremiti del III millennio e vivete in isolamento lontano dai social network, forse non sapete di cosa si tratta. Il bodyshaming è una forma di bullismo che consiste nel prendere di mira l’aspetto fisico, criticandone principalmente la taglia e il peso: insulti, commenti negativi e offese di vario tipo sono ciò che ognuno deve mettere in conto quando condivide una foto online.
Se avete sperimentato il bodyshaming e pensate di esserne usciti illesi vi sbagliate. La filosofia ci insegna che la percezione di sé e del proprio corpo si costruisce attraverso lo sguardo dell’altro, nessuno quindi può dirsi immune a questo tipo di commenti.

Il famoso: “due pesi, due misure”

Non ci potrebbe essere un detto più azzeccato, quando si parla di skinny e curvy. Perchè un corpo eccessivamente magro è oggetto di critiche feroci e viene presto associato a disturbi alimentari mentre, all’ombra del #bodypositive, il fisico di molte top model oversize è definito semplicemente curvy?
L’uso sconsiderato di questa parola, che spesso non si riferisce solo a modelle bellissime e formose, ma anche a donne e uomini chiaramente in sovrappeso, rischia di promuovere un modello estetico altrettanto sbagliato: non c’è nulla di sano né in una magrezza skinny, né in un corpo “eccessivamente curvy”.
Senza dimenticare che l’inno ufficioso del nuovo #bodypositive movement è “all about that bass” e ruota tutto intorno quel lato b formoso che, come canta Megan Trainor, “piace tanto agli uomini”.
I modelli proposti forse stanno cambiando ma continuano a provocare gli stessi disagi.

Le modelle curvy sono pur sempre modelle

[didascalia fornitore=”altro”]La top model curvy Ashley Graham. Photo by Debby Wong/Shutterstock.com[/didascalia]

Guardando le top model come Ashley Graham sembra di vedere le stesse regazze, una volta magrissime e ora con qualche chilo di troppo. Donne e uomini “perfetti” che riflettono in un preciso standard estetico; per loro anche quelli che un tempo erano considerati difetti diventano un tratto distintivo, pensiamo allo spazio tra gli incisivi, una volta bandito e ora quasi desiderato.
Un vero pensiero bodypositive non dovrebbe limitarsi a esaltare la modella oversize o con la vitiligine, ma dare spazio alla diversità reale, rappresentando persone normali con fisicità e lineamenti irregolari.

Vademecum

Non si può pretendere che l’industria dell’alta moda, le agenzie di marketing e la comunicazione pubblicitaria rinuncino alla bellezza artificiale attorno a cui ruotano i loro guadagni, ma si può fare in modo che la filosofia del body positive si concretizzi nella vita di tutti i giorni, come farlo? Ecco un piccolo vademecum:

Evitate ogni forma di bodyshaming e ricordate che anche un semplice “sei un po’ troppo magra” o “si vede che sei una buona forchetta” possono avere conseguenze. Esattamente come chiedere alle trentenni quando pensano di avere un figlio, anche i commenti detti con leggerezza possono ferire.

Non crucciatevi per quello che vi sembra un difetto estetico, la perfezione non esiste e, di conseguenza, non è richiesta.

Contribuite a far sì che la filosofia del bodypositive sia avvero inclusiva, che non si fermi al peso o alla taglia ma che dia spazio ai diversi colori della pelle, alle disabilità e al tema gender.

Infine, non affannatevi solo nel migliorare il vostro aspetto. La bellezza è anche altro.

Elena Chioda

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