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Muhammad Ali è morto: addio al campionissimo della boxe

La boxe piange il suo più grande campione: Muhammad Ali è morto a 74 anni per un mix tra complicazioni respiratorie, un Alzheimer ormai in stadio avanzatissimo e l’età. “The Greatest” era stato ricoverato giovedì pomeriggio e in un primo momento le sue condizioni non sembravano troppo serie, ma sono peggiorate fino a diventare “Straordinariamente gravi” verso le quattro di mattina italiane, come riferito da un famigliare che si era recato al capezzale. L’ex-Cassius Clay è spirato circondato da tutti i propri cari, lasciando un segno indelebile non soltanto nello sport che l’ha visto trionfatore, ma anche nella lotta ai diritti civili.

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L’ultima volta che si era visto in pubblico, lo scorso 9 aprile a Phoenix in Arizona, Muhammad Ali era ospite della delle Celebrity Fight Night ossia una speciale serata a cadenza annuale dedicata alla raccolta di fondi contro il Parkinson. Come ogni occasione che appariva sotto i riflettori, le sue condizioni sembravano di volta in volta sempre più serie. Tuttavia, il collasso dovuto alla forte infezione alle vie urinarie del gennaio 2015 sembrava ormai superato. Invece, nel giro di meno di due mesi e a soli 74 anni, Ali si è arreso. Lottava col morbo sin dalla metà degli anni ’80.

Era nato il 17 gennaio 1942 a Louisville nel Kentucky col nome di Cassius Marcellus Clay Jr., ma cambiò il proprio nome nel 1964, dopo essersi convertito all’Islam dopo il primo titolo mondiale: si ricorda ancora la sua dichiarazione positiva e significativa dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, a rappresentanza dei musulmani moderati d’America. Durante la sua vita fuori dal ring, non si è mai risparmiato a ergersi a simbolo e a voce di un movimento. Ad esempio per la difesa dei diritti dei neri, anche a fianco di personaggi poi divenuti iconici come Malcom X o Martin Luther King e per il suo celeberrimo rifiuto ad arruolarsi e a partire per il Vietnam, con la frase: “Dov’è il Vietnam? In TV. Non ho niente contro i Vietcong, loro non mi hanno mai chiamato negro”.

Il rifiuto gli costò cinque anni di prigione oltre che lo stop proprio nel mezzo della piena maturazione atletica. Dopo essere stato un promettente dilettante, vinse l’oro alle Olimpiadi di Roma 1960 nella categoria dei mediomassimi e passò professionista. Come inizio la carriera? 12enne, fu trovato da un poliziotto a inveire in mezzo alla strada contro anonimi ladri della propria bici promettendo una “Sonora strapazzata”: l’agente gli consigliò di entrare in una palestra e imparare a boxare. Fu la nascita di una leggenda che vestì la cintura di campione del mondo dal 1964 al 1967 poi dal 1974 al 1978 dopo il ritorno dallo stop. Passarono alla storia gli incontri come quello epico contro l’ex-galeotto Sonny Liston che lo portò al primo titolo, poi i numerosi contro Joe Frazier e George Foreman che eressero la boxe a vero fenomeno mediatico.

Il declino della fine degli anni ’70 / inizio anni ’80 portò Ali a vincere non più per i poderosi KO, ma ai punti. Significativa la vittoria sofferta nel 1977 contro Earnie Shavers in un match violentissimo, che molti indicano come una delle vere cause scatenanti del Parkinson. Nel suo ultimo incontro un’anteprima del proprio destino: l’11 dicembre 1981 venne sconfitto per decisione unanime ai punti contro Trevor Berbick e scese dal ring muovendosi molto lentamente e parlando in modo sconnesso. I primi sintomi della malattia che si manifestò in tutta la sua drammaticità al momento dell’accensione della torcia olimpica ad Atlanta 1996.

Diego Barbera

Diego Barbera è stato un redattore interno di Nanopress fino al 2018. Si è occupato di tecnologia, sport, cronaca.

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