Uno dei tanti problemi creati dalle multe non contestate immediatamente, perché affibbiate tramite autovelox o altri apparecchi simili, è legato all’accertamento di chi fosse il conducente del veicolo al momento dell’infrazione. E’ un obbligo introdotto dalla patente a punti. Si tratta di un dettaglio molto importante che può avere conseguenze penali per chi mente. Vediamo perché.
Le complicazioni sono arrivate con l’introduzione della patente a punti, codificata nell’articolo 126-bis del Codice della strada. In caso di infrazione non contestata immediatamente, l’organo accertatore invia il verbale al proprietario del veicolo. Se l’infrazione comporta la perdita di punti dalla patente, l’autorità deve accertare chi fosse il conducente al momento dell’infrazione, per poter poi comunicare la decurtazione all’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida. Lo dice il comma 2 dello stesso articolo.
Per cui nel verbale si invita il proprietario a fornire i dati dell’effettivo conducente del veicolo nel momento della violazione. Questo è un invito che non si può rifiutare, anche se a volte i verbali non sono proprio trasparenti (magari per incrementare ulteriormente le entrate comunali). Lo dice sempre l’articolo 126-bis al comma 2. Chiunque ometta di fornire quei dati, senza giustificato motivo, viene sanzionato per un importo da 286 a 1.142 euro. Anche se si sceglie di pagare direttamente la multa e indipendentemente dalla presenza di un ricorso in atto. Lo ha ricordato la Cassazione nella sentenza numero 19380 del 30 settembre 2015.
C’è poi un’altra complicazione. Spesso, per evitare la perdita dei punti, alcune persone comunicano dati di un altro conducente, anche se invece erano loro a guidare. Per esempio la nonna che ormai non guida più o il domestico straniero. Qui sconfiniamo nel reato vero e proprio.
Per la precisione, si incorre nel reato di sostituzione di persona previsto dal Codice penale all’articolo 494. Esso dice testualmente: “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino a un anno“.
Negli ultimi tempi le autorità hanno intensificato i controlli su questo fenomeno e chi veniva pescato a mentire è stato condannato mediamente a sei mesi di reclusione. Due sentenze recenti della Cassazione in merito sono la n. 49121/2015 e la 19527/2016.
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