Dopo 18 anni di coma, a 31, è morto Enrico Mogetta, che non si era più ripreso da un incidente in moto, avvenuto quando aveva appena 13 anni nel suo quartiere, a Macerata. Da quel momento, era in stato vegetativo, senza alcuna possibilità di ripresa. Si era stabilizzato, ma le probabilità che guarisse erano pari a zero. L’incidente il 26 dicembre del 1999, nel quartiere Collevario, dove Enrico era nato e cresciuto.
Entrato subito in coma, non aveva mai ripreso conoscenza. Le sue condizioni, appena arrivato in ospedale, ai medici erano apparse immediatamente disperate. Quegli stessi dottori che sono riusciti – all’epoca – a strapparlo alla morte, ma non a una lunga agonia. Lunga 18 anni, tra ricoveri in ospedale, cure e l’affetto e l’assistenza dei familiari che, però, sapevano che solo un miracolo avrebbe potuto far riprendere Enrico. O i progressi della scienza, che però non si sono spinti così avanti.
Oltre alla madre Pina e alla sorella Virginia, vicino al ragazzo c’era l’assistente Ilaria. Non c’era Alberto, il padre, che prima ancora dell’incidente in moto del figlio, era morto a causa di un arresto cardiaco. Un uomo molto conosciuto a Macerata, professore di Storia e Filosofia al Liceo Scientifico della città marchigiana. La storia di Enrico Mogetta era arrivata fino in Vaticano: Papa Francesco aveva scritto alla famiglia, in segno di vicinanza.
Non si può non ricordare, in un caso simile, chi a causa della sofferenza che durava da anni ha detto basta autonomamente. Ma ha dovuto fare le valigie per poter chiedere e ottenere il suicidio assistito. Il caso di Dj Fabo è il più eclatante: in Svizzera ha potuto infatti chiudere con il dolore alla clinica ‘Dignitas’ di Zurigo. Non senza polemiche, da parte di chi chiede a gran voce che anche in Italia si possa scegliere e chi invece considera un ‘omicidio’ il ‘suicidio assistito’.