Il piano di Donald Trump sull’immigrazione prende forma. Il neo presidente ha firmato l’ordine esecutivo per lo sblocco dei fondi federali per la costruzione del muro al confine con il Messico. “Una nazione senza frontiere non è una nazione. Riprenderemo il controllo dei nostri confini. In America torna la legalità”, ha dichiarato dopo la firma, avvenuta nel corso della visita al dipartimento per la Sicurezza Nazionale. La notizia era già stata anticipata dallo stesso Trump con un tweet, secondo la prassi del suo stile comunicativo, nonché anticipata dal New York Times. “È stato organizzato un gran giorno per la Sicurezza Nazionale. Tra le altre cose, costruiremo il muro”, ha scritto il tycoon sul suo profilo Twitter. Per il neo presidente si tratta dell’ennesimo colpo di spugna con cui cancellare l’eredità di Barack Obama anche sul tema dell’immigrazione, in particolare di quella ispanica.
Il piano di controllo sull’immigrazione, cuore della campagna elettorale, con il ritornello del muro lungo il confine meridionale, da far “pagare al Messico”, si sta compiendo.
La tensione tra i due paesi inizia già a salire. Trump ha infatti confermato che il Messico rimborserà i fondi federali, scatenando la reazione di Enrico Peña Nieto, presidente messicano, che ha confermato la sua presenza a Washington per il prossimo 31 gennaio per rinegoziare il Nafta, il North American Free Trade Agreement (Accordo nordamericano per il libero scambio che coinvolge USA, Canada e Messico). “Il Messico non crede nel muro. Pretendiamo rispetto, e comunque non saremo noi a pagare”, ha dichiarato in un video messaggio pubblicato sui suoi canali social. Il vero punto però è la rinegoziazione degli accordi tra i due paesi, che lo stesso Nieto definisce “importanti per la forza, la certezza e il futuro dell’economia” messicana
Il tema principale rimane quello del muro, simbolo della politica di Trump. Il nuovo inquilino della Casa Bianca autorizza dunque la costruzione e l’innalzamento di una barriera lungo il confine con il Messico, esteso in totale su oltre 3mila km, in quelle zone dove ancora non esiste (in molte altre il muro c’è già) per diverse centinaia di chilometri. Per farlo, si useranno fondi federali che, assicura Trump, saranno poi rimborsati dal Messico. Nel piano rientrano poi la costruzione di nuovi centri di detenzione al confine e il taglio dei fondi federali per le cosiddette “città santuario”, i centri di maggior passaggio degli immigrati irregolari.
SALUTE, COMMERCIO, IMMIGRAZIONE, AMBIENTE: COSÌ TRUMP CANCELLA L’AMERICA DI OBAMA
Tra gli ordini esecutivi che Trump firmerà a breve, secondo il NYT, c’è anche quello per il “rafforzamento della sicurezza nazionale” che prevede un taglio al numero di rifugiati da accogliere negli USA e il blocco di persone provenienti dalla Siria e da “altri paesi inclini al terrorismo”. La lista dovrebbe comprendere Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen.
Secondo il NYTimes, tra gli ordini che firmerà Trump ci sono anche quelli sulla sicurezza nazionale. Le ipotesi al vaglio riguardano alcuni dei temi che hanno più diviso l’opinione pubblica americana a partire dai programmi speciali per la gestione dei terroristi, che comprendono: la ripresa del programma di detenzione nei “black site”, le prigioni segrete della CIA; mantenere aperte la prigione di Guantanamo; inserire il partito dei Fratelli Musulmani nella lista delle organizzazioni terroristiche.
Un’altra ipotesi al vaglio del nuovo presidente è sulle metodologie di indagini: si starebbe studiando se “ripristinare il programma di interrogatori di alto valore (con tecniche vicine alla tortura se non proprio tali ndr) da usare sui terroristi stranieri fuori dal territorio degli Stati Uniti”, compreso “l’uso di strutture di detenzione gestite dalla CIA”, escludendo che tali pratiche possano essere applicate negli USA.
Nel frattempo, montano le polemiche per la decisione di confermare James Comey a capo dell’FBI, riportata dal NYTimes. Il numero uno del Bureau dovrebbe essere l’unico a rimanere al suo posto nel passaggio dall’amministrazione Obama. Cambiati tutti gli altri vertici, Comey rimane all’FBI dove è arrivato con la nomina a direttore nel 2013 fatta da Barack Obama. Comey era stato protagonista del mailgate, scoppiato durante la campagna elettorale, che danneggiò molto la candidatura di Hillary Clinton.
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