Nel giorno dell’insediamento del nuovo parlamento del Myanmar, con a capo la premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, l’esercito birmano ha compiuto un nuovo colpo di stato. I militari hanno istituito lo stato di emergenza e arrestato tutti i membri del governo.
Solo ieri, le forze militari avevano dichiarato su facebook l’intenzione di fare “tutto il possibile per aderire alle norme democratiche di elezioni libere ed eque, come stabilito dalla Costituzione del 2008, pace duratura e benessere e prosperità inclusivi per il popolo del Myanmar“.
Erano già diversi giorni di crescente tensione tra il governo civile e l’esercito. E ieri sera è arrivato l’attacco alle istituzioni.
Le notizie che giungono dal Myanmar (Birmania) sono poche, perché nella serata di ieri i militari hanno interrotto le trasmissioni della radiotelevisione pubblica e anche la rete internet ha subito diverse interruzioni.
Il potere attualmente è stato riposto nelle mani del Capo di Stato maggiore delle forze armate, il generale Min Aung Hlaing. Hlaing, tra gli esecutori delle persecuzioni della minoranza musulmana Rohingya, ha mosso i militari proprio nel giorno dell’insediamento del nuovo parlamento, dopo aver lamentato brogli elettorali alle elezioni dello scorso novembre, che aveva visto la vittoria della Lega nazionale di Aung San Suu Kyi.
Dopo il colpo di stato, il Myanmar è stato posto sotto lo stato d’emergenza da parte delle milizie per un anno. In molte città, compresa la capitale Naypyidaw, nei giorni scorsi si erano tenute diverse manifestazioni pro-militari e nelle strade, già da una settimana, sono stati schierati i carri armati.
La leader della Lega nazionale e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi ha chiesto ai cittadini birmani di non cedere al golpe. “Esorto la popolazione a non accettare, a rispondere e a protestare con tutto il loro cuore contro il colpo di Stato dei militari“, hanno fatto sapere i suoi portavoce.
I presunti brogli, di cui i militari però non hanno nessuna prova, alle elezioni dello scorso novembre hanno portato all’arresto di Aung San Suu Kyi e degli altri membri del partito.
Secondo quanto scritto nella costituzione del Myanmar firmata nel 2008, dopo le elezioni i militari avrebbero dovuto cedere il potere alle istituzioni democratiche mantenendo però il controllo delle forze di sicurezza. Contro il risultato elettorale, i militari avevano sporto reclami legali presso la Corte Suprema, che aveva però respinto le accuse di frode al voto.
Alcuni Paesi occidentali avevano dichiarato il proprio appoggio alle istituzioni democratiche della Birmania, tra i quali anche gli Stati Uniti, rifiutando “qualsiasi tentativo di alterare l’esito delle elezioni o impedire la transizione democratica del Myanmar“.
Proprio la Casa Bianca, dove il neo presidente Joe Biden ha ricevuto notizia di quanto accaduto in Muanmar, ha fatto sapere che “in coordinamento con i nostri partner nell’area, chiediamo alle forze armate e a tutte le altre” parti in causa “di aderire alle norme democratiche e di rilasciare i detenuti“.
Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha poi intimato ai militari di “rilasciare tutti i funzionari governativi nonché i leader della società civile e a rispettare la volontà del popolo birmano espressa alle elezioni democratiche dell’8 novembre“.
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