Mariano Cannio è stato ritenuto colpevole di omicidio aggravato al culmine del processo con rito abbreviato con il quale è stato giudicato.
L’uomo, affetto da problemi psichiatrici, ma ritenuto capace di intendere e di volere, lavorava come domestico per i genitori della vittima e la sera della tragedia avrebbe spinto giù dal balcone il piccolo Samuele, 3 anni, mentre si trovava presso la sua abitazione al centro storico di Napoli, in via Foria.
La morte del piccolo Samuele
Una tragedia come purtroppo tante se ne registrano: era stata questa l’ipotesi iniziale per la morte del piccolo Samuele, 3 anni, precipitato da un balcone al terzo piano il 17 settembre del 2021.
Le indagini hanno però accertato una responsabilità ben precisa per la morte del piccolo. Il bambino era in casa con Mariano Cannio, 39 anni, che lavorava come domestico per i genitori del piccolo.
Sarebbe stato proprio lui – come ha poi successivamente ammesso – a lanciare il bimbo nel vuoto. Una drammatica corsa all’ospedale Pellegrini di Napoli non era bastata a salvargli la vita. Il piccolo Samuele era morto poco dopo l’arrivo in ospedale.
Dopo aver ucciso il bambino, Cannio era fuggito e si era recato in una pizzeria di Napoli, per cenare. Dopodiché era stato rintracciato dalle forze dell’ordine e interrogato. A riferire della sua presenza in casa la sera della tragedia, era stata la mamma di Samuele, che insieme al marito è una nota commerciante del capoluogo partenopeo.
L’ammissione e la condanna
Il giudice per le indagini preliminari, Nicoletta Campanaro, ha condannato Mariano Cannio a 18 anni di carcere con l’accusa di omicidio aggravato. L’uomo, che era affetto da problemi psichiatrici (dei quali i genitori del piccolo Samuele non erano a conoscenza) avrebbe reso una dichiarazione spontanea, ammettendo le sue responsabilità.
Stando al suo legale è ancora plausibile l’ipotesi dell’incidente e della non volontarietà del suo assistito, che potrebbe aver reso quelle dichiarazioni spinto dal suo stato psico-fisico.
Nonostante tutto, Mariano Cannio è stato ritenuto capace d’intendere e di volere. Il 39enne è stato giudicato con rito abbreviato. Nei giorni successivi alla tragedia, l’uomo aveva raccontato di essere uscito sul balcone con il bambino in braccio e – a un certo punto – di averlo lasciato cadere.
L’uomo aveva poi ritrattato la prima versione dei fatti, raccontando di aver avuto un improvviso capogiro che gli avrebbe fatto perdere l’equilibrio, perdendo poi la presa del bambino.