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Naufragio nel Canale di Sicilia, morti 800 migranti: la ricostruzione e le testimonianze

La Marina Militare ha localizzato in fondo al mare il barcone che si è inabissato nel Canale di Sicilia. L’imbarcazione si trova ad una profondità di 375 metri. Il tutto è stato individuato in seguito alle ricerche effettuate su richiesta della Procura di Catania. La barca è stata individuata a circa 85 miglia a nord est dalle coste libiche. Si tratta di un relitto di colore blu della lunghezza di 25 metri. Il relitto è stato individuato per mezzo delle strumentazioni Sonar. Vicino al relitto localizzato dalla Marina Militare è stato trovato anche il corpo di un uomo.

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I militari hanno verificato che all’interno dello scafo e anche nel ponte più basso ci sono numerosi corpi. Dai primi dati raccolti, è emerso che ci sarebbero ingenti danni alla prua e sulla parte sinistra della fiancata dell’imbarcazione. Probabilmente si tratta dei segni derivanti dall’urto con il mercantile, che era intervenuto per soccorrere i migranti.

Dalle indagini emerge l’ipotesi della collisione. L’ipotesi è quella, secondo la quale lo scafista avrebbe pilotato con poca attenzione l’imbarcazione e questo avrebbe provocato una collisione con il mercantile King Jacob, che era arrivato nella zona per portare i soccorsi. E’ stato aggiornato il bilancio delle vittime: secondo le Nazioni Unite i morti sarebbero almeno 800. Gli investigatori hanno fermato Asghedom Ghermay, arrivato in Italia dall’Etiopia qualche anno fa e che è accusato di essere proprio uno dei trafficanti di profughi. E’ considerato uno dei più importanti punti di riferimento per i traffici diretti con la Libia. I poliziotti hanno intercettato molte conversazioni tra lui e un altro etiope, noto con il nome di Ermias, che deterrebbe le fila dell’organizzazione. Le intercettazioni telefoniche vedono i due uomini parlare e Ghermay racconta ad Ermias il suo “business”.

Il sistema sembra essere ben assodato, per il reclutamento dei clandestini, che entrano anche di nascosto nei centri di accoglienza, evitando il controllo della polizia. Poi da lì uscirebbero, per essere accompagnati in pullman o in treno a Roma e a Milano e poi essere indirizzati verso altri Paesi europei. Al telefono si sentono i due scafisti parlare, ammettendo che sul barcone è stato fatto il doppio del carico.

Le testimonianze

Le testimonianze dei migranti che sono stati tratti in salvo sono drammatiche. Alcuni hanno riferito che gli scafisti che erano ai comandi bevevano e fumavano hashish. Da queste parole emergono sempre di più le responsabilità di chi era al comando dell’imbarcazione. I migranti hanno raccontato di essere partiti dal nord ovest della Somalia. Un viaggio molto lungo, che li ha portati ad attraversare l’Etiopia, il Sudan, la Libia, fino a raggiungere Tripoli. Qualcuno è stato anche arrestato ed è stato tenuto in galera per mesi.

Ricordano la fame, la sete, il sole a picco nell’attraversare il deserto, le notti gelide e la sabbia che entrava nelle orecchie e nel naso. Ricordano che l’imbarcazione era su tre livelli e quelli che avevano dato meno soldi erano stati ammucchiati sotto, in basso, chiusi dentro. Sarebbero partiti intorno alle 6 e ad un certo momento, nel buio, avrebbero sentito un colpo e si sarebbero ritrovati capovolti. Tutti urlavano, spingevano, davano pugni. In particolare quelli chiusi nel livello più basso gridavano di essere aiutati. I migranti sono provati dal trauma del naufragio.

Un ragazzo, di nome Nasir, in particolare, ha raccontato la sua storia. Viveva con la madre, un fratello e due sorelle. La loro vita era molto povera e ad un certo punto in famiglia non ci sono state alternative. Hanno cercato di mettere insieme i soldi dell’aereo e hanno affidato a lui il compito di fare fortuna. All’inizio si è ritrovato a lavorare a Garian, una città nel deserto a un’ora e mezza a sud di Tripoli. Faceva il meccanico. Tuttavia, con il tempo, si è reso conto che non poteva stare lì, perché la guerra civile si avvicinava ed era troppo pericoloso.

Poi ha cercato di arrivare a Tripoli, cogliendo tutte le opportunità per andare in nave verso l’Italia. All’inizio lui ed altri che volevano arrivare nel nostro Paese sono stati ammassati in un capannone. Dormivano per terra ed erano costretti a sopportare di giorno un caldo infernale e di notte un freddo rigido. Il suo racconto si unisce a quello di altri ragazzi, che hanno detto come il peschereccio, all’improvviso, si sia rovesciato e sono finiti in acqua. Nel giro di cinque minuti l’imbarcazione è andata a fondo. Sono rimasti in preda alla paura, cercando di restare a galla, forse anche mezz’ora, fino a quando poi sono stati soccorsi da alcuni marinai filippini.

Una tragedia nella tragedia

Un superstite del naufragio avrebbe raccontato che molti migranti sarebbero stati chiusi nei livelli inferiori della barca e i trafficanti, proprio con la chiusura dei portelloni, ne avrebbero impedito l’uscita. La Procura di Catania ha aperto un’inchiesta, ipotizzando i reati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. Proseguono le ricerche nel Mediterraneo, per cercare di rintracciare i corpi delle vittime o eventuali altri sopravvissuti. Renzi ha cercato di ottenere la disponibilità della Libia ad accogliere le salme. La nave italiana Gregoretti della Guardia Costiera è arrivata a Malta, dove ha sbarcato 24 salme. Poi il percorso proseguirà in direzione del porto di Catania, dove sbarcheranno i superstiti. A bordo della nave è salito anche il personale medico, per valutare le loro condizioni di salute.

L’intervento di Renzi


Renzi ha detto chiaramente che bisogna impedire che il mare diventi un cimitero e che bisogna intervenire in Libia alla radice. Il Presidente del Consiglio ha voluto sottolineare: “Tutti gli italiani pensano che quando c’è un Paese come la Libia dove rischi che ti taglino la testa e quindi sei costretto a fuggire e muori in mare in quel modo, innanzitutto c’è il sentimento di cordoglio, di dolore, altrimenti di questa tragedia diamo solo l’aspetto statistico. Non stiamo parlando di numerini ma di persone. Questo è il primo punto. Rimaniamo umani, partiamo da questo”.

Renzi si è espresso anche sulla strategia che dovrebbe essere adottata da tutta l’Unione Europea per cercare di fermare le stragi. Esclude un intervento immediato dei militari italiani in Libia, ma propone di intervenire sugli scafisti, per assicurarli alla giustizia. Proprio per questo Renzi ha specificato che il governo italiano chiederà al consiglio europeo e all’Europa di affrontare il problema in modo più serio.

Le altre reazioni

Fra le prime reazioni che arrivano dagli altri Stati che fanno parte dell’Unione Europea, c’è quella del ministro degli Esteri lettone, che ha invitato Federica Mogherini a prendere i contatti con alcuni Paesi del Nord Africa, in modo da chiedere di fare più controlli per impedire alle navi di affrontare viaggi pericolosi. Anche la Francia si è espressa a proposito dell’ennesima tragedia avvenuta nel Canale di Sicilia. Il portavoce del governo ha ammesso che la Francia non è stata all’altezza della situazione e ha aggiunto che occorre aumentare la sorveglianza nel Mediterraneo.

La dinamica

I profughi erano a bordo di un peschereccio lungo circa trenta metri che si è capovolto, mentre il mercantile King Jacob si stava avvicinando alla barca per i soccorsi. Si tratta del più grande naufragio della storia delle ultime migrazioni. Solo 28 i sopravvissuti. Nella zona del disastro sono stati inviati mezzi della Guardia costiera, della Guardia di finanza e della Marina militare. Dal peschereccio – secondo le prime informazioni – era stata lanciata sabato una richiesta di aiuto al centro nazionale soccorso della Guardia Costiera poiché era stato riferito che l’unità con i migranti a bordo (secondo un sopravvissuto erano in 950) aveva difficoltà di navigazione. La sala operativa del Comando generale delle Capitanerie di porto ha dirottato un mercantile portoghese, che giunto in prossimità del mezzo in difficoltà, ha visto il peschereccio capovolgersi.

E’ verosimile, secondo quanto si è appreso, che, alla vista del mercantile, i migranti si siano portati tutti su un lato del peschereccio, facendolo capovolgere. Altri mezzi sono ora impegnati nelle ricerche di eventuali altri superstiti. Molti cadaveri, ventiquattro secondo una prima stima, sono già stati recuperati. Si rischia ”una delle più grandi tragedie avvenute nel mar Mediterraneo”, ha detto Carlotta Sami, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. I sopravvissuti e i corpi verranno probabilmente portati a Catania.

I soccorsi

All’operazione, coordinata dal centro nazionale soccorsi della Guardia Costiera, hanno partecipato unità navali e aeree della stessa Guardia costiera, mercantili che sono stati dirottati in zona, e inoltre mezzi aerei e navali della marina militare e della guardia di finanza impegnati nell’operazione Triton dell’agenzia Frontex. ”L’acqua del mare in questo momento ha una temperatura di circa 17 gradi: se qualcuno è ancora in mare c’è la possibilità che possa rimanere vivo, se si aggrappa a qualcosa e se può essere individuato” ha spiegato il portavoce della Guardia costiera Filippo Marini, intervistato da RaiNews 24. I soccorritori però sono stati chiari sulla possibilità di recuperare le centinaia di corpi delle vittime nel Canale di Sicilia: ”Il tratto di mare dove è affondato il barcone è troppo profondo per consentire l’intervento dei sommozzatori”.

L’Angelus di Papa Francesco

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Papa Francesco, nell’Angelus di domenica 19 aprile, ha fatto appello alla comunità internazionale perché agisca con decisione per evitare altri disastri ricordando le vittime ”sono uomini e donne come noi, fratelli nostri, affamati, perseguitati, vittime di guerra, sfruttati che cercano una vita migliore”.

Redazione

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