Scoperta la mano della ‘Ndrangheta a Roma, in settori diversi fra cui quello ittico, delle pasticcerie e degli olii esausti.
A distanza dell’ultima grande operazione, avvenuta nel maggio scorso, questo è il blitz più imponente effettuato nella Capitale.
La mano della ‘Ndrangheta a Roma è stata scoperta in una nuova operazione delle forze dell’ordine e dopo il maxi blitz di maggio che aveva smascherato gli affari dei clan Alvaro e Carzo, ora sono scattati nuovi arresti.
La Direzione investigativa antimafia ha portato avanti in questi mesi un’accurata indagine con la collaborazione di Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza, che ha portato dei risultati davvero sconcertanti.
Ben 25 società fra panifici, pasticcerie e altri esercizi commerciali, sono state sequestrate per un valore di 100 milioni di euro.
Il blitz ha portato all’arresto di 26 persone verso cui sono state emesse le custodie cautelari di arresti in carcere e ai domiciliari per sole 2 di loro. Le accuse sono molto pesanti, infatti parliamo di associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni e sequestro di persona.
Gli arresti sono stati eseguiti questa mattina e secondo quanto ricostruito dalle forze dell’ordine, i 26 indagati facevano parte di un’associazione per delinquere di stampo mafioso, punto di riferimento per la ‘Ndrangheta locale di Roma, con lo scopo di acquisire la gestione delle attività commerciali facendo ricorso poi a false intestazioni per schermare chi erano i veri titolari.
Gli esercizi commerciali in questione erano aziende che lavoravano in diversi settori: pasticceria, panificazione, ritiro oli esausti, ittico.
In questo modo la criminalità organizzata cercava di acquisire il controllo sul territorio tramite una rete di società utilizzate per smerciare denaro sporco, trafficare droga e altri illeciti.
L’attività di indagine portata avanti dalla Dia di Roma ha permesso di ricostruire uno schema collaudato da tempo, un sistema che consisteva nell’abbandonare una società ormai considerata compromessa per poi acquisirne una nuova e organizzare nuove intestazioni fittizie per continuare a mantenere il controllo e possedere attività commerciali.
Inoltre le indagini hanno ricostruito come i vertici della ‘Ndrangheta romana acquisivano attività commerciali acquistando poi anche gli immobili tramite il versamento di piccoli anticipi diluiti poi in rate garantite da cambiali, le quali però venivano pagate in contanti.
Le intercettazioni hanno consentito di ricostruire un giro immenso in termini economici, infatti i beni sequestrati ammontano a 100 milioni di euro. Veri e propri patti mafiosi sono venuti a galla, volti a garantire accordi imprenditoriali illeciti per favorire l’infiltrazione della malavita nell’economia della Capitale.
Il Gip di Roma, Gaspare Sturzo, che ha emesso le diverse ordinanze cautelari, ha descritto il modus operandi degli indagati, evidenziando come sussiste anche l’aggravante dell’agevolazione mafiosa contestata.
Stando a quanto emerso, questi soggetti erano collegati con esponenti mafiosi calabresi e il ‘capo’ di tutto è Vincenzo Alvaro, considerato il boss della ‘Ndrangheta capitolina anche se ovviamente il suo nome non figura mai.
Gli inquirenti hanno ipotizzato che i prestanome utilizzati sapevano bene cosa facevano e chi stavano agevolando, ma soprattutto cosa stavano occultando.
Come abbiamo detto, questa è il secondo grande attacco della Dia e dei Carabinieri nei confronti della ‘Ndrangheta di Roma.
A maggio ci fu infatti un altro grande blitz che portò all’arresto di 43 persone, accusate di far parte di una locale radicata nella città in modalità simili a quelle dell’operazione odierna.
Da una frase contenuta in un’intercettazione di allora, la maxi operazione ha acquisito il nome di “Propaggine” e ha portato ad arresti fra Roma, Lazio e Calabria.
A capo c’era non solo Vincenzo Alvaro ma anche Antonio Carzo, quest’ultimo era stato autorizzato proprio dagli esponenti calabresi ad avviare un’organizzazione a Roma con lo scopo di investire e riciclare denaro, specialmente nel settore della ristorazione.
L’indagine portò a smascherare quella che viene considerata come la prima vera locale ufficiale della ‘Ndrangheta nella Capitale, nella cui rete erano invischiati anche commercialisti e dipendenti bancari.
Anche qui le accuse furono le medesime che oggi hanno portato all’arresto di 26 nuovi indagati.
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