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Categories: Cronaca

‘Ndrangheta al nord, gli interessi delle cosche calabresi sopra il Po

L’ultima notizia di ‘ndrangheta al Nord è recente. L’ultima operazione coordinata tra Reggio Calabria e Milano ha portato a 33 arresti e ha colpito il clan Piromalli che, scrivono i Carabinieri del Ros, gestiscono il mercato ortofrutticolo del capoluogo lombardo, il più grande del Nord Italia. Tra arance e insalata, il boss Antonio Piromalli, residente a Milano ma originario di Polistena, e figlio di Giuseppe Piromalli, il super boss della cosca rinchiuso nel carcere di massima sicurezza de L’Aquila (al momento dell’arresto furono trovate casse di champagne nel bunker), gestiva tutto quello che ruota intorno al commercio di frutta e verdura. Nell’ordinanza, i Ros scrivono che il controllo era garantito “attraverso la creazione di una complessa rete di imprese e l’ausilio di una serie di affiliati e fiancheggiatori” ma anche “facendo leva sul metus mafioso esercitato dalla sua persona”. Il mercato di viale Lombroso, gestito dalla SoGeMi, partecipata del comune di Milano, era il centro di un enorme giro d’affari che andava oltre la frutta e la verdura. Gli ultimi arresti certificano, se ancora ce ne fosse bisogno, il potere della ‘ndrangheta al Nord.

Oggi sembra scontato parlare di mafie sopra la linea del Po, eppure nel 2010 l’ex prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, disse pubblicamente che la mafia non esisteva nel capoluogo lombardo. Lo stesso ex ministro degli Interni, il leghista Roberto Maroni, oggi alla guida di Regione Lombardia, dichiarò che al Nord non c’era la criminalità organizzata e che era tutta un’invenzione di Roberto Saviano.

Sei anni dopo, nel febbraio 2016, il leader del Carroccio Matteo Salvini non sembra avere dubbi. “Se so che qualcuno, nella Lega, sbaglia sono il primo a prenderlo a calci nel culo e a sbatterlo fuori. Ma Rixi è un fratello e lo difenderò fino all’ultimo da quella schifezza che è la magistratura italiana. Si preoccupi piuttosto della mafia e della camorra, che sono arrivate fino al Nord“. Le sue parole si riferiscono al caso di Edoardo Rixi, vicesegretario della Lega e assessore regionale allo Sviluppo Economico della Regione Liguria, a processo per le spese pazze.

Quello che a noi interessa è l’ultima parte della dichiarazione, quel “mafia e della camorra, che sono arrivate fino al Nord”. Finalmente c’è la consapevolezza dell’infiltrazione criminale, ma nell’elenco manca il riferimento alla ‘ndrangheta. Come se non fosse l’organizzazione più potente d’Italia (e una delle più pericolose del mondo).

COSA NOSTRA, ‘NDRANGHETA, SACRA CORONA, CAMORRA: QUAL È LA MAFIA PIÙ POTENTE D’ITALIA

Una delle caratteristiche che differenza la ‘ndrangheta dalle altre organizzazioni criminali è proprio la presenza al Nord. A dirlo è l’ultimo rapporto della Direzione Investigativa Antimafia dove si parla di “colonizzazione” del territorio, la capacità cioè di replicare la struttura verticistica dei clan anche fuori dal territorio d’origine. La vera arma letale delle ‘ndrine è il silenzio, come scrive anche la DIA: la ‘ndrangheta è al Nord da decenni ma non fa mai rumore perché forte di “un’infiltrazione silenziosa”.

La relazione è chiara anche su un altro punto: la ‘ndrangheta ha una presenza “sempre più massiccia ed incisiva, sia quantitativamente che qualitativamente, in praticamente tutte le regioni del Centro-Nord“. A Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Lazio, regioni tradizionalmente soggette al fenomeno ‘ndraghetista, si aggiungono cellule solidamente impiantate” in Liguria, Umbria, Veneto e Marche”.

Il caso più eclatante è quello della Lombardia: qui la ‘ndrangheta è “radicata”, fa parte cioè del tessuto sociale, politico e produttivo a ogni livello. Gli investigatori della Dia non hanno dubbi: la presenza delle cosche è così incisiva che i riti di iniziazione si svolgono anche a Milano.

Questo è possibile grazie alla presenza della cosiddetta “borghesia mafiosa”, come la descrivono gli investigatori. Le ‘ndrine hanno uomini tra i colletti bianchi, nelle banche, nei palazzi del potere locale, persino nelle forze di polizia o nella magistratura. In questo modo è in grado di controllare ogni passaggio delle attività criminali, senza mai dare nell’occhio.

Se la ‘ndrangheta è così potente è perché ha attirato a sé la politica e il mondo dell’imprenditoria con la sola arma che conta: i soldi. La potenza economica delle ‘ndrine è enorme: il rapporto della DIA ha quantificato un giro d’affari di 44 miliardi di euro annui con un fatturato pari al 2,9 percento del PIl nazionale, più dell’economia dell’Estonia (13,2 miliardi di euro) e della Slovenia (30,4 miliardi di euro).

Il fulcro di tutto è la droga, in particolare la cocaina, di cui la ‘ndrangheta condivide il primato mondiale con i narcos colombiani e messicani: grazie al controllo delle rotte marine, dal porto di Gioia Tauro come da quello di Rotterdam arriva quasi tutta la polvere bianca di cui hanno bisogno anche le altre organizzazioni criminali.

Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, da anni in prima linea della lotta alla ‘ndrangheta

Gli altri interessi economici si dividono in gioco d’azzardo, con una presenza massiccia in tutto il Nord, gli appalti pubblici, la prostituzione, l’usura e l’estorsione, il traffico d’armi, il contrabbando di gasolio e benzina e soprattutto il riciclaggio di denaro, attività che procura entrate enormi ai clan e a tutti coloro che partecipano, a partire dai politici, fino agli imprenditori e ai colletti bianchi.

Il dato da tenere a mente quando si parla di ‘ndrangheta al Nord è che il rapporto tra criminali, politici e imprenditori conviene a tutti ed è siglato da tutti. Non ci sono imprese o politici “vittime” del sistema malato: i collusi scelgono di stare dalla parte delle ‘ndrine perché è economicamente e politicamente vantaggioso.

Quando le indagini hanno portato allo scoperto a Seveso, in Brianza, di una vera e propria banca clandestina gestita dai clan, o quando sono emersi gli ennesimi rapporti tra cosche e politici locali, gli inquirenti si sono trovati di fronte a uno scenario deprimente: imprenditori brianzoli che sapevano benissimo con chi stavano facendo affari e che anzi li facevano proprio perché c’erano i criminali.

Non una semplice infiltrazione ma una radicalizzazione, come dicevamo prima, che permette “ai fenomeni di compenetrazione tra mafia e impresa” di vivere e prolificare “grazie a un intenso e disinvolto connubio tra forme evolute di associazioni mafiose e imprenditori calabresi e lombardi, pronti a fare affari illegali insieme come se niente fosse”, come si legge nell’ordinanza d’arresto. Per questo, continuare a parlare di ‘ndrangheta al Nord è importante: rompere il silenzio significa farli uscire allo scoperto e non abbassare mai la guardia.

Lorena Cacace

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