Secondo il report pubblicato oggi dalla Ong francese Giornalisti Senza Frontiere, il 2022 è stato un anno orribile per i giornalisti nel mondo. Non erano mai stati registrati così tanti reporter incarcerati, sono 533. Sono inoltre rimasti uccisi in 57, tenuti in ostaggio in 65 e scomparsi in 49.
Guerra, conflitti e regimi autoritari alcune delle cause. Oltre la metà di chi è stato privato della libertà si trova in 5 Paesi non esattamente moderati.
I giornalisti nel mondo non se la passano affatto bene. Tra scenari di guerra e regimi autoritari, la repressione di libertà e informazione affligge le popolazioni e anche chi tenta di raccontarne difficoltà e sofferenze.
Solo nel 2022 sono stati 533 i giornalisti incarcerati. La cifra record riscrive le serie storiche in negativo, come ha sottolineato nel suo report pubblicato oggi Reporters Without Borders (RSF), una ONG francese che ogni anno dal 1995 si occupa del monitoraggio.
Nell’analisi, volta a evidenziare la violenza e gli abusi perpetrati ai danni dei reporter, altri dati preoccupanti saltano all’occhio. Il numero di giornalisti uccisi nel corso dell’anno è ancora una volta in aumento rispetto all’anno precedente. Nel 2022 hanno perso la vita in 57, nel 2021 erano stati “solo” 48. Altri 65 sono tenuti in ostaggio, privati della loro libertà. Inoltre ulteriori 49 risultano al momento scomparsi, non se ne ha più traccia.
Già nel 2021 era stato raggiunto un picco negativo nelle detenzioni, con ben 488 giornalisti dietro le sbarre per aver semplicemente svolto il loro lavoro. Quest’anno c’è stato un ulteriore peggioramento in quanto ulteriori 40 reporter circa si sono aggiunti alla lista. I dati, aggiornati al primo dicembre dell’anno in corso, parlando quindi di un aumento del 13.4% rispetto ai dodici mesi precedenti.
La Ong sottolinea anche come non fosse mai successo di trovare così tante donne giornaliste private della libertà. Sono in totale 78, quasi il 30% in più rispetto al 2021 e quindi il 15% del totale dei reporter detenuti. Solo 5 anni fa erano meno del 7%.
In particolare poi dal report annuale emerge come oltre la metà dei giornalisti imprigionati si trovi concentrato in cinque Paesi, che non brillano in quanto a moderazione democratica. Si tratta di Cina, in testa con 110 incarcerati, seguono Birmania con 62, Iran con 47, Vietnam con 39 e Bielorussia con 31.
La Cina è tristemente nota per la censura e la sorveglianza di massa estrema. Tra i report in prigione figura Huang Xueqin, un freelance che ha seguito corruzione, inquinamento industriale e molestie sulle donne. Al terzo posto c’è stata la rapida ascesa dell’Iran che prima non faceva parte della lista nera. La repressione brutale è avvenuta in concomitanza con l’inizio delle proteste nel Paese. Qui sono state arrestate Nilufar Hamedi ed Elahe Mohammadi, due giornaliste che hanno contribuito a accendere i riflettori sulla morte della giovane Mahsa Amini. Come tutti gli altri manifestanti catturati, anche le due reporter rischiano ora la pena di morte.
“I regimi autoritari e dittatoriali stanno riempiendo le loro prigioni più velocemente che mai incarcerando i giornalisti”, il commento del segretario generale della Ong RSF Christophe Deloire. La minaccia, evidentemente, viene percepita dai regimi come provenire proprio dal giornalismo libero, plurale e indipendente.
Per quanto riguarda i reporter uccisi, la guerra in Ucraina ha contribuito all’aumento. Tra coloro che hanno perso la vita ci sono anche Maks Levin, fotogiornalista ucraino ucciso dai soldati russi il 13 marzo scorso. E ancora Frédéric Leclerc-Imhoff, videoreporter francese del canale televisivo BFMTV, morto in seguito a schegge di proiettile che lo hanno colpito mentre stava documentando l’evacuazione dei civili.
Infine da notare come oltre il 60% dei giornalisti uccisi abbiano perso la vita in Paesi non in guerra come Messico, Haiti e Brasile.
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