L’ultimo, in ordine cronologico, ad aver abbandonato il Partito democratico è stato il senatore (ormai quasi ex) Carlo Cottarelli. L’uomo che in un primo momento sembrava dovesse essere candidato alle regionali in Lombardia, anche in ticket con Letizia Moratti, poi candidata del terzo polo e in contrapposizione al centrodestra, di cui aveva sempre fatto parte, ha lasciato lo schieramento dem per delle divergenze di veduta con la neo segretaria, Elly Schlein.
Come lui, altri quattro, in soli due mesi e mezzo, hanno abbandonato il Nazareno: Enrico Borghi si è accasato con Italia Viva dell’ex premier fiorentino Matteo Renzi, Caterina Chinnici, candidata sconfitta alle regionali della Sicilia del 25 settembre, è passata a Forza Italia, poi Andrea Marcucci e Beppe Fioroni, con l’ultimo che ha abbandonato il Pd proprio il giorno dopo in cui la deputata italo americana ha vinto a sorpresa le primarie nei gazebo contro Stefano Bonaccini.
Per ogni esponente che ha lasciato quello che è, a ora, e a tutti gli effetti, il più importante partito delle opposizioni, sono arrivati a rimpolpare le fila del Pd 4mila nuovi iscritti che, appunto, da quando Schlein ne ha preso le redini in mano è salito tantissimo anche nei sondaggi. E non è e non può essere un caso, come ha sottolineato anche Marco Furfaro, il responsabile delle iniziative politiche e welfare scelto dalla segretaria.
Già da prima delle politiche del 25 settembre, infatti, lo schieramento dei dem non stava vivendo uno dei migliori periodi. Alle urne, è arrivato un risultato che non poteva essere definito esaltante, anzi: con appena il 19% dei voti presi, il Partito democratico era sì, la seconda forza del Paese ma con un distacco troppo ampio da chi invece quelle elezioni le ha vinte (e con merito) come Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.
Il percorso per arrivare a questa nuova fase non è stato semplice. Il Congresso, con le conseguenti primarie, voluto dai vertici e in prima persona da Enrico Letta, che era tornato a guidare il Nazareno dopo l’addio di Nicola Zingaretti, è stato caratterizzato da un ulteriore emorragia di consensi che aveva fatto perdere alla compagine nata dalle ceneri dell’Ulivo anche il ruolo di primo schieramento delle opposizioni. Poi, dicevamo, a sorpresa, la pasionaria di Occupy Pd è riuscita a sbaragliare la concorrenza del suo ex numero uno, che aveva ottenuto anche il beneplacito della base del partito, e ha riportato alle urne chi il 25 settembre aveva preferito starsene a casa.
“Sembravamo talmente andare avanti per inerzia e con così poco riscontro nella società che alcuni opinionisti ne davano a rischio persino l’esistenza“, ha detto il dirigente del Pd. “Alle primarie, per fortuna, tutto è cambiato. Certo, avevamo buoni segnali dall’entusiasmo generato dalla corsa di Elly, ma è proprio alle primarie che accade un fatto insolito e decisivo: decine di migliaia di persone che sono venute a votare si erano astenute alle politiche“, ha continuato Furfaro che ha risposto con i fatti, e con i numeri, alle polemiche per gli addii urlati di alcuni dei parlamentari et similia dallo schieramento del Nazareno.
Per chi, quindi, non si riconosce più in un progetto non riformista, ci sono altre migliaia di persone che, invece, si sono riavvicinate alla politica, e soprattutto alla sinistra, come testimoniano anche le piazze che, ha spiegato ancora il responsabile delle iniziative politiche della segreteria di Schlein, hanno dimostrato come, dove un tempo si rischiavano contestazioni, “ora si prendono applausi, sorrisi, abbracci. A lei, come a tutte e tutti noi, viene consegnata una rinnovata voglia di cambiamento“.
E, appunto, la voglia di cambiamento si deve anche all’interno del partito: “Dopo tanto tempo in cui non sembravano né carne né pesce, dove non riscuotevamo né simpatia né passione, oggi il Pd è il primo partito di opposizione, abbiamo ridotto la distanza rispetto a FdI da 15 a 8 punti. Siamo finalmente tornati a un essere un partito popolare, contemporaneo, che finalmente fa quello che dice, ma sempre largo, inclusivo e plurale, rispettoso delle culture politiche di provenienza. In una parola: democratico“, ha concluso Furfaro.