Produce poco e nulla il vertice di Arcore tra Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Gli alleati del centrodestra, chiamati a trovare una sintesi per la formazione del prossimo governo che, ha detto Fabio Rampelli, dovrà essere pronto tra il 21 e il 25 ottobre, una quadra non l’hanno trovata. Ancora.
I nodi da sciogliere sono più o meno sempre gli stessi: chi sarà il ministro dell’Economia e delle Finanze, chi siederà al Viminale – non Salvini -, chi prenderà le presidenze di Camera e Senato. E anche: che ruolo dare a Licia Ronzulli, a cui il Cavaliere non intende rinunciare. Tutto, in pratica, è rimasto com’era e la premier in pectore lo ha detto chiaro e tondo: “Dobbiamo trovare soluzioni in fretta“.
Dal 25 settembre, giorno in cui gli italiani hanno emesso il loro verdetto dalle urne, la situazione in casa dei vincitori delle elezioni è cambiata di poco e nulla. A parte qualche no sparso qua e là, comunque pesante, i tre alleati del centrodestra non sono ancora riusciti a mettersi d’accordo su come sarà il prossimo governo.
Fabio Panetta, board della Banca centrale europea, sogno di Giorgia Meloni per il ministero dell’Economia e delle Finanze, non ne farà parte quasi sicuramente, e nonostante l’intercessione da parte di Sergio Mattarella.
Da questi rifiuti è partito il ragionamento della premier in pectore, la prima presidentessa donna della storia della Repubblica italiana, ieri ad Arcore, nel vertice con Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. “Se non troviamo in fretta soluzioni, ci mostriamo deboli. E se diamo l’impressione di essere deboli, otterremo altri no“, ha detto ai leader di Forza Italia e Lega con cui la numero uno di Fratelli d’Italia continua a trattare.
Perché i nodi da sciogliere, dicevamo, sono sempre gli stessi. Se al Mef i papabili, ora, sono due, entrambi tecnici – Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli -, tutte le altre caselle tra veti, divieti e ostruzionismo rimangono bloccate come lo sono da due settimane a questa parte. Anche quelle che riguardano le presidenze dei due rami del Parlamento.
Il 13, ovvero giovedì, si riuniranno Camera e Senato, per la prima volta a ranghi ridotti, anzi a parlamentari tagliati, e si dovranno eleggere i presidenti, appunto. Scartata l’ipotesi di affidare Montecitorio all’opposizione, è soprattutto Palazzo Madama che sta creando degli intoppi.
Meloni, infatti, vorrebbe metterci uno dei suoi, Ignazio La Russa per la precisione, ma il Capitano starebbe puntando i piedi per inserire Roberto Calderoli. Se a spuntarla dovesse essere il Carroccio, per la Camera ci dovrebbero essere o Fabio Rampelli o Francesco Lollobrigida, in caso contrario, invece, i nomi in lizza sono Riccardo Molinari o Giancarlo Giorgetti (con cui l’ex vicepremier non ha proprio un rapporto splendido, ecco).
I motivi del contendere tra i due leader, però, sono anche altri. E sì: riguardano il Viminale. Ancora una volta la futura presidentessa ha ribadito il no a Salvini per un ritorno a guidare il ministero degli Interni, che invece spetterà quasi sicuramente a un tecnico – Matteo Piantedosi, già ex capo di gabinetto del leghista nella sua unica esperienza al governo, rimane in pole sugli altri.
Senza quello, al segretario di via Bellerio rimangono o l’Agricoltura o le Riforme, ma non gli basterebbero, e starebbe puntando almeno a tornare a fare il numero due, come all’epoca dell’esecutivo gialloverde. Meloni frena, perché non le andrebbe molto a genio l’idea di essere appoggiata da due vice, l’altro sarebbe quasi sicuramente Antonio Tajani, coordinatore azzurro e braccio destro di Berlusconi, che invece potrebbe diventare ministro della Difesa o dello Sviluppo economico, non degli Affari esteri. La Farnesina, esattamente come il Viminale e il Tesoro, infatti, saranno affidati a dei tecnici. Che ancora non andrebbero giù alla Lega.
Ma se le cose non vanno splendidamente con Salvini, la situazione, per Meloni, non migliora con gli altri alleati di Forza Italia. Il Cavaliere, infatti, pare che si stia lamentando perché non conta abbastanza. La sua voce, comunque, la fa sentire quando si parla, ancora, di Licia Ronzulli.
Per la senatrice, come vi abbiamo già raccontato, Berlusconi vorrebbe il ministero della Salute, ma la premier in pectore non sarebbe per nulla d’accordo. Quindi l’alternativa: o l’Agricoltura, per cui c’è anche Salvini candidato, o le Infrastrutture, altra frenata da parte della leader di Fratelli d’Italia che al massimo può proporre un dicastero di seconda fascia.
Non è tutto così nero, però, per gli azzurri, perché alla Giustizia starebbe prendendo quota il nome dell’ex presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Ciò che è certo, come ha detto anche Rampelli, è che l’esecutivo dovrà prendere forma dal 21 al 25 ottobre, ovvero all’indomani del vertice del Consiglio europeo sul gas a cui parteciperà Mario Draghi perché, appunto, c’è da risolvere la questione relativa al caro bollette.
Un altro tema che potrebbe dividere la maggioranza. Al termine dell’incontro di Arcore, che si potrebbe ripetere già domani ma a Roma con l’ex presidente del Consiglio in videocollegamento, in maniera ufficiosa dalla Lega e soprattutto dall’ex ministro degli Interni, hanno trapelare che un intervento sull’energia ci sarà a prescindere dalle risposte che si daranno in Europa. L’idea rimane quella di uno scostamento di bilancio, più volte bocciato da Meloni in campagna elettorale. “Serve un decreto ferma-bollette che, visti i ritardi europei, non può più essere rinviato“, avrebbe detto Salvini. E sì, potrebbe essere un nuovo giro, nuova corsa.
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