Dall’Unione europea, meglio dalla Commissione di Bruxelles, filtra un certo ottimismo sul fatto che il governo italiano, presieduto da Giorgia Meloni, quando sarà il momento, sarà pronta a ratificare il Mes, il Meccanismo europeo di stabilità.
Dopo il via libera della Corte costituzionale tedesca, infatti, l’unico Paese, assieme alla Croazia, entrata a far parte della zona euro solo il primo gennaio, a non avere ratificato il Messaggio è proprio l’Italia. Sul tema, la premier Meloni ha sempre preferito glissare la domanda affermando che non si prenderanno mai i soldi del meccanismo, ma questo non significa che non si possano condividere le modifiche che sono state apportate allo strumento.
Sono anni che, in sede europea, si parla del Mes, il meccanismo europeo di solidarietà, ovvero un organismo nato nel 2012 per prestare assistenza ai Paesi della zona euro che si trovano in difficoltà finanziarie. La discussione sulla revisione, iniziata nel 2017, si è concluso ufficialmente a gennaio del 2021 con tutti e 19 gli Stati che hanno firmato.
A mancare, però, affinché diventi effettiva è la ratifica, che deve arrivare sempre da tutti i governi dei Paesi che hanno adottato l’euro, compresa l’Italia, quindi, e ora anche la Croazia che ha adottato la moneta unica europea il primo gennaio del 2023. Finora, e dopo il via libera della corte costituzionale tedesca, sono solo loro a non aver proceduto all’iter per l’okay. Ma qualcosa potrebbe cambiare, soprattutto per quanto riguarda casa nostra.
Più volte interpellata sull’argomento – anche perché c’è il rischio di un isolamento in Europa -, la presidentessa del Consiglio, Giorgia Meloni, ha detto che può firmare con il sangue che, fino a quando ci sarà lei a Palazzo Chigi, l’Italia non accederà al fondo. Che è anche un po’ una risposta, considerato che ratificarlo non significa necessariamente doverne prendere i soldi, tanti, che vengono messi a disposizione e per cui il nostro Paese è di fatto il terzo finanziatore (saranno 125 i miliardi che si metteranno nel Mes in tutto).
E quindi una possibile apertura – nonostante voglia dire, in parte, sconfessare sé stessi, perché, anche qua più volte, ma dai banchi dell’opposizione, si era detto che non lo si sarebbe fatto -, che ora salutano con favore soprattutto dalla Commissione europea.
Lo pensa il commissario per l’Economia, il nostro Paolo Gentiloni, piuttosto “fiducioso” che si arriverà a una fumata bianca, e lo pensa anche il vicepresidente esecutivo dell’organo presieduto da Ursula von der Leyen, Valdis Dombrovskis. A margine dell’eurogruppo, il lettone ha detto: “Pare esserci qualche progresso, quindi speriamo di poter confermare la ratifica“.
Mentre l’ex premier ha spiegato che il via libera al nuovo “è utile per l’esistenza in vita di questo strumento” poi si “può decidere se utilizzare o non utilizzare alcune facilities che il Mes mette a disposizione“. “L’Italia è stata tra i Paesi che circa due anni fa hanno deciso questo emendamento allo statuto del Mes e questo emendamento è utile“, ha sottolineato ancora Gentiloni, che poi ha anche specificato che due anni fa, appunto, il governo italiano aveva già dato l’okay alla ratifica dell’emendamento dello statuto.
La nuova decisione, in ogni caso, spetterà ancora all’esecutivo e, secondo quanto ricostruito da Repubblica, potrebbe intrecciarsi anche con la richiesta di modificare, almeno in parte, il Piano nazionale di ripresa e resilienza che, a sua volta, deve essere incastrato con il RepowerUe.
Nello specifico, il fondo delicato agli aiuti sull’energia, che deve essere approvato dal Parlamento e dal Consiglio europeo, che sarà finanziato con i soldi non utilizzati dal Recovery Fund, e che, ancora, ognuno dei 27 Paesi dell’Ue decidere se e come utilizzare – per l’Italia si parla di circa 9 miliardi di euro – potrebbe essere fondamentale per arrivare a un accordo che faccia contenti tutti.
Perché, però, l’Italia è così restia ad accettare la ratifica del Mes? Per capirlo, dobbiamo prima spiegare quali sono le novità per il meccanismo rispetto al passato. Innanzitutto, lo strumento dovrà sostenere il Fondo di risoluzione unico per le banche, ovverosia un paracadute che consentirebbe alle banche in difficoltà di salvarsi alimentato da loro e non dagli Stati, che a capienza massima raggiungerebbe 60 miliardi di euro.
La riforma prevede anche anche un nuovo meccanismo per attivare l’assistenza finanziaria, divisa in due corsie. La Precautionary Conditioned Credit Line, Pccl, è destinata ai Paesi con le finanze pubbliche in ordine in cui ci si impegna affinché vengono continuati a soddisfare i requisiti fissati dal trattato, la seconda, invece, la Enhanced Conditions Credit Line, Eccl, è quella per le emergenze. Chi deve sottoscriverla, deve firmare prima un Memorandum of Understanding in cui si fissano precisi impegni calibrati sull’entità del finanziamento. Nel dettaglio, il Consiglio dei governatori dovrebbe incaricare il direttore generale del Mes e la Commissione europea, insieme alla Banca centrale europea, di negoziare con lo Stato interessato un protocollo d’intesa in cui vengono definite le condizioni da rispettare.
Inoltre la riforma del trattato prevede l’introduzione, per i nuovi titoli di Stato in emissione a partire dal primo gennaio 2022, di clausole di azione collettiva a maggioranza unica. Lo strumento consentirebbe a una maggioranza qualificata di creditori di chiedere la ristrutturazione del debito, facilitandone, in parole parole, l’operazione.
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