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Nessuna donna nella Top 5 di Sanremo: siamo sicuri che sia stato davvero un caso?

Irene Tiberi e Francesca Barone, co-fondatrici di @equaly__, la prima community italiana nata allo scopo di occuparsi della parità di genere nel music business, parlando con Vanity Fair hanno cercato di fare luce su un tema fondamentale: perché a Sanremo nella Top 5 non c’erano donne? Molti dicono che sia stato un caso, ma la storia parla chiaro: è dal 2014 che una donna non vince il Festival. E questo non può essere un caso.

Sanremo – Nanopress.it

Nella top five di Sanremo c’erano cinque uomini. Addirittura Marco Mengoni, il vincitore del Festival, ha voluto dedicare il suo premio alle donne, il cui ruolo nella musica a quanto pare è sempre marginale, e che comunque erano completamente assenti in quella “finalissima”. Vanity Fair, con la collaborazione di Irene Tiberi e Francesca Barone, co-fondatrici di @equaly__, ha cercato di fare luce su questo tema, dandoci non pochi spunti di riflessione.

Nella top five di Sanremo le donne erano non pervenute

La prima affermazione di Marco Mengoni dopo aver vinto Sanremo è stata: “Voglio dedicare questa canzone alle donne”. Sì, perché tra i cinque “super finalisti”, non ce n’era neanche una. Come non ce n’è neanche una sul gradino più alto del podio dal lontano 2014. Sono nove anni quindi che una donna non vince Sanremo.

La domanda però è questa: è un caso, oppure c’è un nesso con la condizione della donna, vista sempre “un passo indietro” (per citare propri Amadeus, non a caso)? Questa è una domanda che Vanity Fair ha posto alla sua community di Instagram, ricevendo però, non poche critiche. Secondo la maggior parte degli utenti, insomma, questo quesito nasconde una strumentalizzazione dell’emancipazione femminile, rende solo ancora più pesante questo tema e in realtà serve solo a distorcere il “pensiero carino” avuto da Mengoni, stop, nulla di più di questo. Per molti, quindi, la risposta è sì, è un caso.

Vanity Fair, però, non si è fermato e ha cercato di arrivare a fondo alla faccenda, parlando con Irene Tiberi e Francesca Barone, cofondatrici di @equaly__, la prima community italiana nata allo scopo di occuparsi della parità di genere nel music business.

Andando sulla loro pagina Instagram, subito salta all’occhio un post scritto ad hoc per Sanremo, che recita così: “Top 5: 0 artiste. Top 10: 3 artiste. E alla fine ci troviamo, non solo con un podio maschile, ma neanche un’artista nelle prime 5 posizioni. Spoiler: no, non siamo sorprese, considerando le percentuali di presenza di artiste che hanno calcato l’Ariston questa settimana. Nella top 10 ci sono tre artiste: Giorgia, Madame e Elodie, rispettivamente al sesto, settimo e nono posto. Ah, 0 premi tecnici. È una cosa così lampante che anche Mengoni, il vincitore di questa edizione, fa notare questo gap. Evidentemente ci sono uomini che stanno iniziando a percepire questo divario come sistemico e che non temono di esporsi”. Questa didascalia, già da sola, dice tutto, ammettiamolo.

Marco Mengoni – Nanopress.it

Adesso, però, tocca fare un quadro della situazione decisamente più vasto, ampio, complesso, perché non dobbiamo generalizzare, ma non va bene neanche minimizzare oppure girarsi dall’altro lato a prescindere, dando per scontato che la presenza di 0 donne nella top five di Sanremo sia normale e casuale.

Parlano Irene Tiberi e Francesc Barone, co-fondatrici di Equaly

Nell’intervista rilasciata a Vanity Fair, Irene Tiberi e Francesca Barone, cofondatrici di @equaly__, hanno evidenziato anche un altro dato: Sanremo quest’anno ha visto solo il 33,7% di presenze femminili. E, sia chiaro, il fatto che nessuna donna sia finita sul podio, ma neanche nella Top 5, non significa necessariamente che nessuna di loro abbia proposto belle canzoni. Dare per scontato che sia così non è salutare e non fa bene a nessuno. Dobbiamo cercare di capire di più, guardando più in là di ciò che vediamo. E infatti la Tiberi e la Barone ci fanno notare: “Pensare che le donne non siano entrate nella parte alta della classifica di Sanremo 2023 perché le loro canzoni non erano “oggettivamente” all’altezza, è una trappola logica. Rispecchia un diffusissimo atteggiamento per cui le percezioni personali, anche prive di prove basate su fatti, valgono molto di più di dati provenienti da migliaia e migliaia di pagine scritte sull’argomento che provano l’esatto contrario”.

Ci spieghiamo meglio (anzi, loro si spiegano meglio): le donne troppo spesso “non entrano nelle “classifiche” di nessun campo”. Non rappresentano la “maggioranza dirigenziale in nessun settore professionale”. Ergo le cose sono due: o non sono le più brave in nulla, o c’è qualcosa che non quadra. Fermo restando che, ad oggi, proprio loro rappresentano più della metà della popolazione mondiale, segno quindi che sono numericamente superiori rispetto agli uomini, è davvero possibile che tra tutte loro nessuna sia in grado di ricoprire posizioni di rilievo in nessun ambito? Anche statisticamente i conti non tornano e a questi si aggiungono gli innumerevoli studi di settore, che ci hanno dimostrato – e gli uomini ci perdoneranno, ma è stata la scienza a parlare – che su molte cose le donne hanno una marcia in più.

L’esempio lampante? Il rapporto Laureate e laureati: scelte, esperienze e realizzazioni professionali realizzato dal Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, che ha evidenziato che le donne costituiscono quasi il 60% dei laureati in Italia e registrano “performance” migliori – nel senso che semplicemente in media si laureano prima e con voti più alti – degli uomini, eppure questi ultimi alla fine guadagnano il 20% in più e occupano professioni di più alto livello. E questo già la dice lunga.

Parlando, però, nello specifico di musica, sappiamo che – dati Fimi alla mano – nelle classifiche di vendita le donne sono solo il 10% del totale. La Tiberi e la Barone hanno cercato di trovare una spiegazione anche a questo dato (che alla fine è sempre la stessa in poche parole): “Le donne purtroppo sono meno dappertutto perché sono considerate “meno”, sia dai maschi che dalle femmine, a causa dei numerosissimi stereotipi di genere che ci fanno pensare ed agire guidati dai peggiori pregiudizi. Sono anni che il numero delle artiste in classifica scende in modo quasi lineare, quindi ci siamo interrogate sui motivi di questa tendenza negativa degli ultimi 12 anni, perché i dati del 2022 sono il frutto di quello che è successo prima. Certamente influisce il fatto che la maggior parte dei ruoli dirigenziali di A&R (che si occupano di mettere sotto contratto nuovi talenti) sono maschi che scelgono altri maschi. Ma non è solo questo. Hanno sicuramente influito l’arrivo di Spotify e il funzionamento degli algoritmi sfavorevole alle artiste, il successo della Trap (genere molto escludente nei confronti delle donne), la pandemia (che ha spostato il carico lavoro-famiglia-cura quasi completamente sulle spalle delle donne) e ovviamente l’humus culturale italiano, che affonda le sue radici nella cultura patriarcale”.

In effetti sulle donne artiste ci sono tantissimi stereotipi, ma ne prenderemo in esame solo un paio, perché sono i più diffusi, conosciuti e diffusi: devono essere sempre belle, sexy, impeccabili e devono fare figli e occuparsi della famiglia. Su quest’ultimo punto c’è poco da aggiungere, perché è un retaggio del passato che in realtà è diffuso tra le donne di tutto il mondo, a prescindere da quale sia il loro lavoro. Sul primo, però, qualcosa da aggiungere c’è: fermo restando che la fisicità rappresenta un punto in comune con tutte le altre donne dello spettacolo – anche alle attrici e alle conduttrici è richiesta una certa presenza scenica – il punto, alla fine, è sempre lo stesso: perché una donna non esteticamente piacevole deve essere penalizzata, mentre agli uomini non è richiesto essere necessariamente affascinanti per sfondare?

Alle donne che operano nell’industria musicale nel ruolo di protagoniste è chiesto di rispecchiare i canoni che la società cerca di imporre da tempo immemore. Quando non lo fanno, vengono escluse, oppure, se hanno un talento innato, immenso e innegabile (e anche un po’ di fortuna, sommata ai giusti “agganci”), vengono incluse e poi criticate. Possiamo fare un esempio più che lampante: Lizzo, che di recente – mentre parlava di un tema che nulla aveva a che fare con il suo aspetto fisico, ma che riguardava la cancel culture – ha detto esplicitamente: “Come donna nera e grassa, in America, ho avuto molte parole offensive usate contro di me, quindi capisco il potere che le parole possono avere”. E ci fermiamo qui.

Il problema però è il seguente: perché, invece, esistono uomini – musicisti, ma anche attori e presentatori – che invece oggettivamente non sono belli, né sexy, né affascinanti, ma che sono richiestissimi, famosi in tutto il mondo, considerati delle icone? Non facciamo nomi solo per non offendere nessuno, ma possiamo guardare diversi artisti sia nostrani che stranieri per farci un’idea e renderci conto che è così. Anche questa è disparità di genere in ogni caso.

Tornando a Sanremo, l’appunto che molti fanno è che quest’anno le donne – tutte co-conduttrici e non personaggi principali comunque, sottolineiamolo – hanno avuto largo spazio e hanno avuto il giusto spazio per fare i loro monologhi liberamente, quindi non sono state mere presenze “decorative”. Nessuno nota qualcosa che non va già solo in questa affermazione? Sembra quasi che si dia per scontato che le figure femminili debbano essere solo presenze piacevoli da guardare e che debba essere quasi una concessione pensare che invece possano ritagliarsi il loro spazio in una kermesse importante come quella. Non dovrebbe chiaramente essere così però.

Anche le co-fondatrici di Equaly hanno voluto dire la loro:Tutte hanno avuto uno spazio, è vero. Da chi l’hanno avuto? Cos’è stato loro concesso di fare in questo spazio? Come sono state trattate? Andiamo con ordine. A Sanremo 2023 le donne sono state utilizzate come viene fatto quasi sempre, ovvero in base a quello che devono rappresentare e alla funzione che devono avere. L’immaginario della donna secondo la cultura patriarcale è proprio questo: la donna è una funzione (dell’uomo). (…) L’esistenza della donna è giustificabile solo in virtù di questa o quella funzione, non basta che sia lì, che viva, o che sia un’imprenditrice milionaria, deve anche giustificare il perché si trovi lì, anche se si tratta di personalità (aiutateci a dire) arcinote come Chiara Ferragni o Paola Egonu. Ferragni ed Egonu non erano “solo” co-conduttrici (come è stato Gianni Morandi), ma è stato loro chiesto di portare un tema da caricarsi sulle spalle e di cui farsi paladine in un inedito ruolo divulgativo e pedagogico, perché le donne questo devono fare, non importa quale sia la loro professione. (…) Se le co-conduttrici (quel “co” non è un dettaglio) non ci sono sembrate solo decorative, allora dobbiamo capire perché”. 

A quel punto le due donne hanno sviscerato e analizzato una dinamica che molti tentano di insabbiare, ma che in realtà è palese e chiarissima. In primis, c’era una donna diversa ogni sera, mentre Gianni Morandi è stato una presenza fissa (chissà come mai). In secundis, tranne Francesca Fagnani e in un certo senso Chiara Francini, che ha alle spalle già diverse esperienze simili, pur essendo attrice, nessuna era conduttrice (per la Ferragni e la Enogu erano la primissima volta in questo ruolo). In tertiis, c’è stata la massima attenzione soprattutto sui loro outfit, sul loro portamento, sul modo in cui riuscivano a scendere le scale tanto temute dell’Ariston, cosa che non ha riguardato affatto né Amadeus né tantomeno Morandi. E poi tutte loro – tutte, nessuna esclusa – “venivano continuamente indirizzate “fisicamente” (mettiti qui, vai là). Insomma, venivano trattate da “donne”, non da persone”.

Alla luce di tutto ciò, cosa potrebbe aiutare la figura della donna a emergere? Probabilmente, sempre secondo Irene Tiberi e Francesca Barone, la situazione migliorerebbe se nei posti chiave dell’industria musicale ci fossero “delle persone (donne o uomini) femministe e consapevoli in ruoli di direzione artistica”. Sì, perché “il solo fatto di “essere donna” non garantisce in automatico un trattamento meno discriminatorio nei confronti delle donne stesse rispetto a quanto farebbe un uomo. Come avere “una donna” al governo non garantisce maggior rappresentazione, sostegno, emancipazione e tutela dei diritti delle donne”. Se però ci fosse “una donna consapevole, le scelte cambierebbero di certo: non perché questa privilegerebbe le donne di default, ma perché non cadrebbe automaticamente nella trappola degli stereotipi e del pregiudizio di genere”.

Ma questo accadrà davvero? Quando? Dobbiamo aspettare ancora molto? Ditecelo prima di Sanremo 2024, così almeno sappiamo già a quale “spettacolo” dovremo assistere.

Anna Gaia Cavallo

Mi chiamo Anna Gaia Cavallo, ho 30 anni, sono nata a Salerno e lì ho vissuto fino ai miei 18 anni. Poi il viaggio verso Siena per l'università, la laurea in economia e gestione d'impresa e poi il ritorno nella mia città natale. Qui, dopo un anno di lavoro nel settore economico, ho capito che non era questa la strada giusta per me e ho deciso di seguire quella che era sempre stata la mia più grande passione fin da piccola: la scrittura. A quel punto ho lasciato tutto quello che avevo costruito nei sei anni precedenti e ho intrapreso un altro percorso, quello che mi ha portato a diventare giornalista. Iscritta all'albo dei pubblicisti della Campania dal 2019, dopo aver attraversato diversi mondi, sono approdata sul pianeta Nanopress nel 2022 come editor e qui amo occuparmi di cronaca e attualità, ma quando mi capita di scrivere di musica raggiungo il massimo del piacere.

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