Lombosciatalgia, mal di schiena, sciatica e radicolopatie: aumentano gli italiani interessati dalle sensazioni dolorose che compaiono a seguito di un deterioramento o un malfunzionamento del sistema nervoso periferico, o delle strutture del sistema nervoso centrale. Secondo le stime citate da Raoul Saggini, direttore della Scuola di specializzazione in Medicina fisica e riabilitativa dell’Università D’Annunzio di Chieti: “Circa il 7-8% della popolazione italiana soffre di dolore neuropatico e almeno un paziente su tre necessita di trattamento riabilitativo, per non dire forse il 50%”. Sono numeri che ci aiutano a chiarire il quadro dell’incidenza delle neuropatie nel nostro Paese, e capire: “Quanto il dolore neuropatico debba essere affrontato in maniera assolutamente attenta e consapevole”.
Il paziente tipo, spiega l’esperto, è colui che “soffre di una neuropatia periferica compressiva, come per esempio il malato che soffre di lombalgia, dolore di schiena lombare, basso, con una sofferenza irradiata agli arti inferiori”.
Saggini prosegue a dettagliare i sintomi: “Il dolore può essere acuto, improvviso, oppure cronico, che perdura per molto tempo, e che il paziente normalmente cerca di contrastare in maniera assolutamente inadeguata con dei rimedi spesso ‘della nonna’. Questi soggetti a un certo punto si rivolgono ad esperti per sottoporsi a un’indagine più approfondita e costruire finalmente un percorso riabilitativo individuale che possa portare a una risoluzione del quadro”.
La riabilitazione ideale passa da un primo step essenziale. “Nel processo riabilitativo dobbiamo pensare di affrontare il dolore in sede locale attraverso una normalizzazione dei rapporti articolari, in particolare della colonna, per esempio lombare. Dovremo affrontare la questione – continua l’esperto – come un problema fondamentalmente di armonizzazione dell’equilibrio posturale. Questo è il primo passo”.
“Il secondo passo è la rimozione dell’area di flogosi e di dolore locale” Si tratta di un processo che può essere realizzato “attraverso procedure in grado di determinare un miglioramento del metabolismo locale osteo-articolare, un incremento dell’omeostasi delle strutture cellulari interessate dal processo patologico. Oltre a questo dobbiamo mettere in campo delle terapie di detenzione delle strutture muscolo-fasciali. Tutto questo permette di creare una situazione di riallineamento, di riorganizzazione dell’equilibrio locale lombare e dell’equilibrio generale, che porta lentamente a una risoluzione del quadro”.
L’esperto sottolinea anche l’importanza di un adeguato trattamento farmacologico da affiancare alla riabilitazione. “Non si può pensare a un trattamento riabilitativo che ha l’obiettivo di organizzare un incremento delle capacità omeostatiche del sistema corporeo, senza l’aiuto di sostanze che abbiano la capacità di incrementare, migliorare e modificare il metabolismo della struttura nervosa – sottolinea Saggini – Ricordo per esempio il ruolo fondamentale svolto dalla levo-acetilcarnitina, una sostanza in grado di modificare il danno mitocondriale”.
“Proprio per questo – conclude Raoul Saggini – abbiamo fondato la Società italiana di medicina riabilitativa interventistica, che ha lo scopo di concretizzare una ottimizzazione dell’approccio riabilitativo rendendo sinergici il processo riabilitativo con quello terapeutico indotto attraverso delle sostanze farmacologicamente attive, che possono essere introdotte per via sistemica ma anche per via locale, per esempio con degli approcci come quelli della mesoterapia antalgica riabilitativa che sono propri del fisiatra. Queste sono le modalità in grado di determinare un incremento dello stato di salute in tempi abbastanza brevi e, soprattutto, con dei risultati nel medio-lungo periodo veramente interessanti”.
In collaborazione con AdnKronos
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