Ben 7 persone indagate per la morte di Nicola Colloca. Per loro accusa di omicidio e distruzione di cadavere. Ma ora è cambiato tutto!
Un procedimento lunghissimo, che per anni ha lasciato tutti con il fiato sospeso. Si, perché sono passati ben 12 anni per conoscere le motivazioni del decesso di Nicola Colloca, un infermiere di quasi cinquanta anni, che venne ritrovato interamente carbonizzato all’interno della sua vettura, una Opel Corsa che apparteneva alla moglie.
Erano le ore notturne più buie, tra il 25 e il 26 settembre del 2010, quando l’uomo, residente a Vibo Valentia, fu ritrovato privo di vita. Era ormai qualche ora che famigliari lo stavano cercando, ma di lui si erano perse le traccia, fino al macabro ritrovamento.
Vista la dinamica dell’incidente, con la macchina completamente incendiata e il corpo del Colloca, dentro, interamente carbonizzato, la prima ipotesi fatta dagli inquirenti era stata quella dell’omicidio. Ed ad ammazzare l’infermiere, secondo l’accusa, sarebbero state ben 7 persone.
Caterina Gentile, di 51 anni, moglie di Nicola Colloca, e Luciano Colloca (29), figlio dell’infermiere; Michele Rumbolà (65), Caterina Magro (44), Nicola Gentile (57) e Domenico Gentile (45), cognati dell’uomo. Questi uomini e donne erano stati accusati di concorso in omicidio e distruzione di cadavere.
Ma, alla fine, tutte le persone coinvolte sono state assolte, e dopo 12 anni, il Colloca può finalmente riposare in pace. A dirimere tale groviglio è stato il Dottor Pietro Tarsitano, a cui il giudice che si occupava del caso, aveva chiesto una perizia medico-legale.
Da questa perizia è emerso che il Colloca si è suicidato. L’uoma aveva con se una bottiglia con all’interno una miscela, che, con la macchina accesa, determinò lo scoppio di quest’ultima. L’infermiere, in evidente difficoltà e preso dallo spavento, grazie ai fumi tossici esalati. fu colto da un infarto, che non gli permise di uscire dall’abitacolo, e lo fece morire poco dopo.
Che non si sia trattato di un omicidio, è stato confermato anche dagli esami tossicologici, e soprattutto radiografici, hanno escluso qualsiasi lesione sul corpo della vittima. Anche questo è stato un indizio fondamentale, perché un uomo, se fosse stato costretto a rimanere in auto mentre lo incendiavano dentro, sarebbe stato sicuramente prima colpito da un oggetto contundente per tramortirlo.
Quindi caso chiuso. Resta solo da capire perché ci sono voluti tutti questi anni per risolvere un caso che, a quanto pare, non appariva così complesso. Non si poteva chiedere prima questa perizia medico legale?
Nel frattempo, la moglie e il figlio dell’uomo, oltre il dolore per aver perso il marito la prima, e il padre il secondo, si sono visti accusare per anni del suo omicidio.
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