La storia e la vita di Nino Di Matteo, il sostituto procuratore di Palermo che da anni combatte la mafia, raccontata in un docu-film in onda in tv e online ogni giorno per un’intera settimana. Non in Italia però. A Very Sicilian Justice è il docu-film sul magistrato antimafia realizzato dal regista Paul Sapin e dal produttore Toby Follett per Al-Jazeera, con la voce narrante del premio Oscar Helen Mirren, che ci ricorda un vero eroe della lotta alla mafia di cui non si parla mai abbastanza in Italia. Eppure, dalle indagini per la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a quelle sulla trattativa Stato-Mafia, è a lui che si devono processi e indagini che stanno mettendo in luce i rapporti tra Cosa Nostra e la politica. Lo stesso paese che ogni anno celebra la memoria dei due giudici uccisi dalla mafia, oggi fa fatica a rapportarsi con un magistrato che rischia la vita ogni giorno pur di far vincere la legalità.
COSA NOSTRA, ‘NDRANGHETA, CAMORRA E SACRA CORONA: LE MAFIE ITALIANE PIU’ POTENTI
Il documentario di Al-Jazeera mette al centro il magistrato simbolo della lotta alla mafia , spesso dimenticato in Italia. L’ultima intervista risale ad aprile 2016, concessa a la Repubblica per parlare del connubio mafia-corruzione e di come si stia facendo troppo poco per spezzare il legame tra mala politica e criminalità.
Nel pieno della polemica per le parole del presidente dell’Anm Camillo Davigo, Di Matteo volle rincarare la dose. “Mafia e corruzione sono ormai facce della stessa medaglia, ma mentre i boss sono adeguatamente puniti, i corrotti che vanno a braccetto con i padrini sono garantiti da una sostanziale impunità dalla politica“, disse nell’intervista firmata da Salvo Palazzolo, giornalista con cui ha scritto il libro “Collusi” (edito da Bur).
È questa volontà nel puntare il dito contro le responsabilità della classe dirigente italiana uno dei motivi che ha reso il giudice Di Matteo così “pericoloso”, quasi dimenticato dai media e soprattutto dalla politica nostrana. Nel 2014, in mezzo al caos politico-giuridico delle intercettazioni tra Nicola Mancino e Giorgio Napolitano, in occasione della commemorazione per il giudice Borsellino, attaccò il Colle perché “nei processi bisogna fare piena luce“, si scagliò contro Silvio Berlusconi, che fondò il partito con Marcello Dell’Utri, condannato per mafia e se la prese anche con Matteo Renzi per il Patto del Nazareno perché “un esponente politico, dopo essere stato a sua volta condannato per altri gravi reati, discute, con il presidente del consiglio di riformare la legge elettorale e quella Costituzione alla quale Borsellino aveva giurato fedeltà“.
“La mafia non è solo la mafia che spara, mette le bombe e gestisce il traffico di droga. Questo è un aspetto della mafia, la mafia militare. La mafia è soprattutto un’altra cosa. È una organizzazione che vuole esercitare il potere al posto dello Stato“, dice Di Matteo nel docu-film di Al-Jazeera. Ma chi è Nino Di Matteo e perché fa così tanta paura a Cosa Nostra da volerlo uccidere?
Nino Di Matteo, la biografia
Nato a Palermo nel 1961, Antonino “Nino” Di Matteo indossa la toga da magistrato per la prima volta nel 1992 quando sceglie di vegliare la bara di Paolo Borsellino nella cerimonia commemorativa al tribunale di Palermo. La morte di Falcone prima e Borsellino poi rafforzano la sua volontà di impegnarsi nella lotta alla mafia. Il primo incarico è a Caltansisetta dove si occupa dell’omicidio del giudice Antonino Saetta e del figlio Stefano: tra i condannati per quel terribile duplice omicidi c’è Totò Riina che si vede comminare il suo primo ergastolo da quel giudice dai capelli ricci.
Nel corso della sua carriera Di Matteo si occupa di moltissimi casi legati alla brutale violenza di Cosa Nostra e, soprattutto, ai rapporti tra i clan e i referenti politici. Rientrato a Palermo, fa riaprire le indagini per la morte del giudice Rocco Chinnici e ottiene la condanna per Nino e Ignazio Salvo, cugini ed esponenti della DC nonché affiliati di Cosa Nostra, come mandanti per l’omicidio del giudice palermitano, padre del Pool di Palermo.
Fin da subito, Di Matteo si trova a districare i rapporti solidi, nascosti ma fondamentali tra politica e criminali. Fa parte del pool per la strage di via D’Amelio e inizia a indagare il retroscena politico-istituzionale che sembra esserci dietro la stagione delle stragi. È lui a gestire il processo sulla Trattativa Stato-Mafia, procedimento che lo condanna definitivamente agli occhi di Riina. Il magistrato vive sotto scorta dal 1996, ha 20 guardie del corpo che non lo abbandonano mai e ha il massimo grado di sicurezza garantito dall’ordinamento italiano.
Questo non è bastato a fermare le minacce di morte nei suoi confronti. Ha ricevuto lettere anonime minatorie ma soprattutto è stato più volte minacciato di morte dallo stesso Riina. “Dissi che lo faccio finire peggio del giudice Falcone, perché questo Di Matteo non se ne va, ci hanno chiesto di rinforzare, gli hanno rinforzato la scorta. E allora se fosse possibile a ucciderlo, un’esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo“. Sono le parole intercettate dal carcere di Opera dove il boss mafioso è rinchiuso e da dove stava organizzando l’attentato a Di Matteo, con 150 chili di tritolo già pronti a Palermo.
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