La vittoria del no nel referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 avrà diversi effetti politici, economici e finanziari, allo stesso modo di qualsiasi consultazione popolare. La conseguenza politica più immediata è la caduta del governo Renzi. Ma dal punto di vista dei risparmiatori, cosa potrà accadere? Quali potrebbero essere gli effetti più probabili nei portafogli titoli?
INSTABILITA’ POLITICA, IL TERRORE DEI MERCATI
Innanzitutto precisiamo che una risposta chiara è impossibile. Ci vorrebbe la sfera di cristallo; se l’avessimo, l’avremmo già usata per speculare direttamente in Borsa. Le opinioni sulla situazione italiana riportate dai media nazionali ed esteri sono di vario colore. La maggiore preoccupazione è per il rischio di forte instabilità politica. Alcuni temono governi di basso profilo privi di necessario supporto parlamentare per approvare le vere riforme di cui il Paese ha bisogno; molti altri sono seriamente preoccupati dall’eventualità di elezioni anticipate a breve termine, dalle quali il Movimento 5 Stelle potrebbe uscire vincitore; di conseguenza ci sono grossi timori per la politica grillina sul bandire un referendum per far uscire l’Italia dall’euro.
I mercati sembrano considerare il minore dei mali un governo tecnico che innanzitutto gestisca senza contraccolpi il residuo percorso parlamentare della legge di stabilità (deve ancora essere approvata dal Senato); in secondo luogo, dovrebbe varare una legge elettorale che premunisca dalle avventure.
I NUMERI DEL GIORNO DOPO: NESSUN CROLLO
Guardiamo velocemente i primi numeri. Nella mattinata di lunedì 5, il primo giorno finanziario dopo il referendum, lo spread BTP/Bund si è attestato intorno a 170 punti dopo un lieve rialzo. Ma è sotto i massimi (da ottobre 2014) già toccati alla fine di novembre. Anche i tassi dei titoli italiani a lungo termine (10, 30 e 50 anni) non sono superiori a quelli registrati nei giorni scorsi.
La Borsa di Milano è calata ma di pochissimo, l’indice FTSE MIB a metà giornata era a -0,7%, poco prima della chiusura a -0,4%; vanno male i titoli bancari, dietro possibili timori di ostacoli alla ricapitalizzazione degli istituti messi male, Monte dei Paschi su tutte. Ma le banche vanno male da anni e i loro titoli scendono da mesi, per colpe loro, non del referendum. Inoltre le altre piazze finanziarie europee sono tutte salite, questo anche per la vittoria di Van der Bellen al replay delle presidenziali in Austria. Se poi guardiamo agli indici americani, il Dow Jones è partito bene (+0,39% in apertura di contrattazioni), segno che la piccola Italia non occupa il primo posto nei pensieri dei grandi finanzieri a stelle e strisce.
L’altro elemento molto importante, che ha in parte evitato mosse pesanti da parte dei grandi speculatori, è il sempre presente ricorso al “quantitative easing” della Banca centrale europea, l’acquisto diretto di titoli nazionali da parte dell’istituto di Francoforte, cioè il famoso “bazooka” di Mario Draghi. Giovedì 8 verrà diffusa la decisione sull’eventuale revisione di questo piano. Gli analisti stimano un’estensione degli acquisti.
IL VERO PROBLEMA PER IL RISPARMIO E’ IMMUTATO
Per i risparmiatori, secondo quanto riportato un po’ ovunque, è fondamentale non lasciarsi prendere dal panico correndo dietro agli umori di breve termine. La speculazione infatti è materia da lasciare agli speculatori, i quali si sono mossi in anticipo rispetto al voto. Chi compra titoli per proteggere i propri averi, deve invece guardare al medio e lungo termine, da tre anni in su.
Qui il problema dei problemi è invariato e non sarebbe cambiato nemmeno se avesse vinto il sì al referendum: il debito pubblico italiano, associato alla debolezza strutturale della nostra economia, che impedisce la crescita.
Se non s’interviene in fretta sulla riduzione della spesa pubblica il debito non potrà calare, le tasse non potranno diminuire, l’economia non potrà ripartire e quindi anche i titoli azionari e obbligazionari ne risentiranno.
Ma non era la riforma costituzionale su cui abbiamo votato lo strumento per risolvere questi problemi, nonostante molti abbiano cercato a tutti i costi di farcelo credere. Gli interventi sulla spesa e sulla pressione fiscale sono materie governative e parlamentari, da leggi ordinarie. La Costituzione non c’entra nulla.
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