No alle mutilazioni genitali femminili: la storia di Mariame Sakho, da ‘tagliatrice’ ad attivista

Unicef, 200 milioni di donne vittime delle mutilazioni genitali femminili

[didascalia fornitore=”altro”]Ansa[/didascalia]

Fermare lo scempio delle mutilazioni genitali femminili è possibile e la storia di Mariame Sakho, raccontata da Avvenire, ne é un esempio. Cinquantunenne dal Senegal, Mariame è stata per anni una “tagliatrice”, una delle tante donne che operavano bambine, anche neonate, e adolescenti, e ora è una delle attiviste più impegnate nella lotta contro le FGM (Female genital mutilation), nonché deputata del suo Paese. La sua vicenda è importante non solo perché dimostra che devono essere le donne le prime a reagire, ma perché si basa sull’unica cosa che davvero funziona in questa battaglia: il cambiamento culturale.

Le mutilazioni genitali femminili sono un fenomeno mostruoso che riguarda 200 milioni di donne nel mondo (dati Unicef), praticato in 30 Paesi di cui 27 nel Corno d’Africa e che non ha nulla a che fare con la religione. Donne cristiane, musulmane e animiste vengono mutilate perché donne: le diverse operazioni, dall’asportazione del clitoride fino alla più estrema dell’infibulazione, servono solo a privare la donna del piacere sessuale, mettendo in pericolo la sua salute, nella credenza che solo così possa essere pura.

Non c’è nessun nesso con la religione, è bene ribadirlo, ma è un problema culturale. Uscirne però è possibile e Mariame con il suo percorso lo dimostra.

Lei che è mutilata, è diventata “tagliatrice” a 19 anni con la nonna e ha praticato mutilazioni su bambine anche piccolissime, perché così voleva la tradizione, oggi è una delle portavoce di Action Aid e si batte per fermare il fenomeno in tutto il mondo, a partire dal suo Paese.

Contro le mutilazioni genitali femminile la politica può fare molto. Nel suo caso, quando il Senegal mise al bando le FGM nel 1999, lei parlò con politici, religiosi e rappresentanti delle Ong e capì cosa aveva fatto e perché doveva smettere. “Era un’usanza da secoli, non l’avevamo mai messa in discussione”, spiega al quotidiano nel ricordare quel periodo.

Le leggi però non bastano, perché se la credenza è radicata, continuerà a esistere e le mutilazioni andranno avanti in clandestinità, in condizioni e con rischi anche peggiori. Ci vuole un cambio culturale e un lavoro incessante con le donne all’interno delle stesse comunità ed è questo che oggi fa Mariame.

Deputata in Parlamento a Dakar, è anche ostetrica nel centro sanitario di Bakel, nella regione orientale di Tambacounda, e parla con le neo mamme, convincendole a non far mutilare le figlie, a qualsiasi età. “Le convinco a rifiutare le superstizioni”, precisa. “Le madri devono sapere che il taglio porta emorragie, dolori durante il ciclo, fino alla negazione del piacere sessuale. Non è giusto che una donna non conosca mai questa gioia con il proprio marito”.

Grazie a donne come lei, in Senegal la pratica della FGM è scesa in media del 25%, ma il lavoro è ancora lungo. Cambiare però è possibile, così come agire nel proprio piccolo, e la storia di Mariame ce lo dimostra.

Impostazioni privacy