Conti, baroni e principi alle prese con la crisi economica che rispolverano vecchie eredità e gabelle. I nobili italiani oggi viventi saranno pur sempre famosi, ma in alcuni casi sono sempre più poveri. Così, la cronaca riporta diversi casi in cui gli eredi di principi e nobili chiedono indietro terreni atavici, o pretendono il pagamento di somme ingenti ai danni di Comuni e cittadini. Tutto questo perché, secondo l’Asni, l’Associazione storica della nobiltà italiana, anche loro hanno sentito la crisi e spesso in misura maggiore rispetto ai “plebei”. “Nessuno di noi muore di fame: quei nobili che però non sono stati lungimiranti adesso si trovano in difficoltà”, ha spiegato Marco Lupis, segretario generale Asni al Fatto Quotidiano. Chi ha saputo ingegnarsi e mettere a frutto i propri titoli (che tradotto vuol dire lavorare), non ha avuto problemi: chi invece si è adagiato sui titoli nobiliari ora paga la crisi.
Diversi i casi riportati dalle pagine di quotidiani locali e nazionali che esemplificano la verità di un vecchio detto popolare: anche i nobili piangono. Le famiglie nobiliari italiane sono circa 3mila, secondo i dati Asni. Nella maggior parte dei casi hanno saputo reinventarsi, mettendo a frutto castelli e proprietà e diventando “imprenditori della nobiltà”: castelli e terreni sono nati a nuova vita, secondo l’idea moderna per cui lavorare nobilita l’uomo in ogni senso. Lupis però ricorda come alcune famiglie non sono rimaste al passo con i tempi e che nobiltà non implica ricchezza. Chi si è arroccato dietro titoli e castelli ora si trova in difficoltà. “Non dimentichiamoci che possedimenti non produttivi come castelli e tenute hanno alti costi di mantenimento”, spiega il segretario Asni.
Per questo sono nate anche associazioni che aiutano i nobili in difficoltà, come l’Opera di San Giobbe, costola della Vivant di Torino (Associazione per la valorizzazione delle tradizioni storico-nobiliari): nata nel gennaio 1946, ha lo scopo di aiutare coloro “avendo conosciuto un certo benessere, si trovavano ora in situazioni di grande povertà, ridotti alla fame e al freddo, incapaci però di palesare la nuova penosa situazione”, come si legge sul loro sito.
Insomma, nobili poveri e non che rispolverano il passato per fare i conti con il presente, ai danni dei cittadini: ecco spiegato il motivo del moltiplicarsi di richieste di indennizzo da parte di famiglie nobili in questi anni.
I Savoia
I primi ad aprire la strada furono i Savoia, gli ex regnanti d’Italia. Nel 2007 chiesero di riavere i beni che lo Stato aveva confiscato con il passaggio alla Repubblica, oltre al pagamento del risarcimento per l’esilio a cui furono costretti gli eredi maschi: 170 milioni di euro per Vittorio Emanuele, 90 milioni per il figlio Emanuele Filiberto. Lo Stato italiano non solo rispedì al mittente la richiesta, ma rispose che avrebbe potuto richiedere i danni alla famiglia Savoia per le responsabilità avute in guerra. A dirimere la situazione allora ci pensò Giulio Andreotti: l’Italia confiscò i beni di re Umberto, il resto andò alle figlie femmine. Inoltre, lo storico Aldo Mola demolì la richiesta di Vittorio Emanuele e figlio ricordando che Umberto II, “con atti pubblici, privò Vittorio Emanuele di ogni titolo di principe ereditario e successore alla corona”.
I Della Gherardesca
L’ultimo episodio in ordine di tempo è la richiesta avanzata qualche giorno fa dal conte Walfredo Della Gherardesca di riavere i terreni di Donoratico, in provincia di Livorno, dove il nobile 77enne vive e che vennero dati in affitto nel 1849. In caso di mancata restituzione, il conte vorrebbe circa 3 milioni di euro per il mancato affitto di 350 ettari di terreno che, ricorda il sindaco Sandra Scappellini, su cui ora privati hanno costruito capannoni e case e che rappresentano “metà della ricchezza del paese”. Ora sarà il tribunale di Lucca a decidere con la prima udienza fissata il 31 ottobre.
Gli eredi del principe Antonio Licata di Baucina
Lo scorso anno una richiesta simile è stata avanzata al Comune di Serradifalco, in provincia di Caltanissetta, dagli eredi del principe Antonio Licata di Baucina. Secondo il Giornale di Sicilia, gli eredi hanno citato in giudizio l’amministrazione comunale per le “indennità di esproprio dei terreni su cui sono state realizzate opere pubbliche”. A loro dire, in passato erano stati indennizzate persone che non ne avevano diritto. Il quotidiano La Stampa calcolò all’epoca in 35 enormi proprietà, pari al 20% del paese, i terreni indicati dagli eredi, mentre il sindaco Giuseppe Maria Dacquì chiarì al Fatto Quotidiano che non solo il Comune era legittimo proprietario dei terreni, ma che in ogni caso potrebbe far valere l’usucapione.
Il barone James Aguet
Anche gli eredi del barone James Aguet hanno avanzato le loro richieste per i terreni risalenti al loro avo a San Felice Circeo, in provincia di Latina. Il Comune, amministrato dall’ex numero uno del Coni, Gianni Petrucci, si è visto arrivare la richiesta del pagamento del “diritto di superficie” su terreni che oggi appartengono a privati e su cui ci sono case e immobili. Una sorta di gabella che arriva dal Medioevo e che gli eredi vogliono far valere nel 21° secolo. Anche se non sono molti i terreni in questione, spiegano dal Comune, si tratta di porzioni di alto valore immobiliare, dove sono stati costruite case che costano fino a milioni di euro. Una scelta non casuale, vien da dire, visto che, per estinguere il presunto debito, i proprietari di oggi dovrebbero versare “migliaia e migliaia di euro” agli eredi del barone.
La discendente di Federico II di Svevia
Non solo case e terreni di proprietà comunale e privata. Nel 2009 la discendente di Federico II di Svevia, la principessa Yasmin Aprile Von Hohenstaufen, chiese la restituzione di Castel Del Monte, monumento Patrimonio Mondiale Unesco perché, a suo dire, in stato di abbandono. “Una grande trovata mediatica”, venne bollata dall’allora sindaco Vincenzo Zaccaro che rimandò al mittente al richiesta. La principessa non ha però rinunciato ed è tornata alla carica nel 2012 chiedendo la reggia di Carditello con tanto di comunicato ufficiale all’allora premier Mario Monti.
A queste richieste viene quasi da rispondere citando Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, noto nel mondo come Totò, che, da vero nobile, divenne il Principe della risata: “Ma fatemi il piacere“.